Il bairro di Cabanagem

sábado, 10 de dezembro de 2005
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Al mattino del 10 dicembre mi viene a prendere la simpatica Marie, suora congolese qui in Brasile da più di 6 anni, per accompagnarmi all’altra comunità che si trova nel bairro di Cabanagem. Qui abitano e lavorano, oltre a Marie, Lucia, Teresa e Naira. La loro piccola casa in legno si distingue dalle altre solo per il senso di pulizia e di ordine che emana. Dopo un po’ non posso fare a meno di notare che alle finestre ci sono delle solide inferriate. “Non c’erano quando sono passato di qui l’anno scorso”, faccio notare. “Abbiamo dovuto metterle dopo che, mentre con alcuni amici italiani stavamo celebrando in casa l’eucaristia, siamo stati oggetto di una rapina a mano armata. Da allora siamo diventate un po’ più prudenti anche se non possiamo rinunciare alla nostra missione tra i più poveri. Che il clima sia veramente cambiato me ne accorgo quando, volendo fare alcune riprese, Teresa me lo sconsiglia vivamente, invitandomi a fare tutto in maniera discreta e possibilmente senza farmi notare. La parrocchia ha 17.000 abitanti divisi in 16 comunità, cinque delle quali seguite direttamente dalle sorelle, che si occupano della formazione dei vari gruppo di pastorale ed evangelizzazione. Per il resto la loro è soprattutto una presenza umile e coraggiosa, testimoni della speranza e della voglia di combattere per una umanità migliore. Termina qui il mio il mio viaggio nelle comunità delle sorelle missionarie di Maria in Amazzonia. Al di là del grande lavoro da esse svolto, una cosa mi è rimasta impressa nel cuore: la semplicità e l’amore con cui svolgono la propria missione. Grazie a Dio, graças a Deus come dicono in Brasile, esistono ancora persone in gamba.

Missione di Vila dos Cabanos

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Arrivare a Belém in aereo è un’esperienza irripetibile. Già durante la manovra di avvicinamento ti si parano davanti le grandi foreste pluviali solcate dai numerosi affluenti che si riversano nel Rio delle Amazzoni proprio a ridosso del suo sbocco al mare. E’ solo il primo approccio all’immensità di tutto quello che, una volta sbarcato, incontrerai. E’ la natura, con tutta la sua grandezza, la vera protagonista di questi luoghi anche se è sempre più violento e massiccio il tentativo dell’uomo di distruggerla. Fino a quando potrà impunemente continuare questo sconsiderato massacro, è la domanda che mi perseguita mentre sto per iniziare questo viaggio di testimonianza sulle attività delle Suore Missionarie di Marie.

Lasciato l’aeroporto, prendo uno scricchiolante battello che, risalendo il Rio delle Amazzoni, mi porterá a Vila dos Cabanos. Risalgo il grande fiume ammirando la parte vecchia della città dominata dalla bella cattedrale in stile neoclassico, progettata dall’architetto bolognese Antonio Landi, nella seconda metà del XVIII secolo, mentre la parte nuova è caratterizzata dalla solita selva di grattacieli, tipico segno dello sviluppo caotico e a doppia velocità di tutto il Brasile.


Ricchezza incredibile e sfacciata, a fianco e in stridente contrasto con le realtà più povere e senza futuro del sottosviluppo. Sentimenti contrastanti invadono l’anima mentre cerco di gustare con precauzione i sapori forti di questo primo impatto.

Dopo un'ora di barca ed un'altra a bordo di uno scassatissimo pullman, eccomi alla missione di Vila dos Cabanos, dove oggi lavorano Luciana, Graça, Maria de Oliveira e Neusarina. Come siano state le origini della comunità me lo racconra Maria Grazia Ceriani, una delle veterane della missione in Amazzonia. “Nel ’72 è stata aperta la comunità in Barcamena città con Plama, Rita e Adua. Nel ’78 è cominciato il primo grande progetto di industrializzazione in conseguenza del quale furono espropriate più di mille famiglie in cambio di un misero indennizzo. Non avendo alcuna esperienza di fabbrica, solo pochissime persone furono assunte come manovali mentre tutti gli altri si sono ritrovati senza lavoro e senza la terra che rappresentava l’unica fonte di sussistenza. E’ per dare aiuto a questa massa di famiglie espropriate che le suore missionarie decisero di trasferirsi nel bairro di Baixarena, oggi Vila dos Cabanos. L’industrializzazione è avvenuta in dispregio di tutte le regole ambientali e, dopo le due prime grandi fabbriche per la trasformazione dell’alluminio, l’Albras e l’Alunorte, molte altre se ne sono aggiunte senza adeguate misure contro l’inquinamento”. “In un anno ci sono stati quattro incidenti gravi, ma tutti hanno fatto finta di niente, come nulla fosse accaduto”.

Dal racconto di Neusarina emerge il quadro drammatico di quest’area: “oltre ai numerosi problemi ecologici, fumo, acqua e aria, mancanza di un acquedotto e delle fognature, è preoccupante la situazione sociale. La comunità è totalmente disgregata, disorganizzata, senza identità, e le autorità locali non fanno niente per migliorare la situazione. Alla mancanza di lavoro per la maggioranza della popolazione si aggiunge la totale precarietà e assenza di prospettive per il futuro dei giovani. Il continuo flusso migratorio dalle campagne non fa che aumentare il numero delle favelas con i conseguenti problemi di violenza, droga e prostituzione infantile. E tutto questo avviene nel totale disinteresse delle autorità dello stato e del governo federale. E’ in questo contesto che si svolge l’attività delle suore missionarie di Maria. “Operiamo nel campo sociale e pastorale – ci racconta Graça. Oltre al normale programma di catechesi, lavoriamo molto alla formazione dei volontari con i quali portiamo avanti il complesso programma della Pastorale das crianças secondo le linee nazionali dettate dalla conferenza episcopale brasiliana. Il centro della nostra azione è la parrocchia ma operiamo soprattutto nelle 15 comunità disperse nell’arco di più di 20 chilometri”. “Abbiamo anche un sogno che inseguiamo da tempo: la creazione di una scuola professionale per dare una formazione tecnica ai nostri giovani e dare loro una possibilità di inserimento nella fabbrica. Le difficoltà sono molte, a cominciare dal reperimento del terreno, ma confidiamo molto di riuscirci”

Il Centro medico Nossa Senhora da Conceição

terça-feira, 6 de dezembro de 2005
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Il 6 dicembre arrivo ad Abaetetuba. Porto fluviale sul Rio Tocantins, Abaetetuba è una della tante cittadine tipicamente amazzoniche che vivono di pesca, commercio e i più svariati traffici e mestieri per sopravvivere. L’animato mercato quotidiano è il cuore pulsante di tutto e il riferimento per gli abitanti delle numerose isole dei dintorni. Lo sviluppo caotico dell’ultimo decennio non ha fatto altro che moltiplicare in maniera drammatica i problemi dovuti alla cronica mancanza di adeguate strutture urbane. 

Nonostante la costruzione di un ospedale pubblico e di vari studi sanitari privati, il Centro medico Nossa Senhora da Conceiçao, rimane l’unica risorsa accessibile per i poveri della città e, soprattutto, per quelli che provengono dalle isole. Furono Adua ed Elisa le prime sorelle a fondare la comunità di Abaetetuba nel 1966 per gestire il Centro medico per l’infanzia e la maternità. Nel 1970 si aggiunsero Lucia e Miriam, nel ’73 Antonia, nel ’77 Antonietta e nel ’92 Giovanna. Della comunità fanno parte anche Dina, arrivata qui nel 2000 per gestire la segreteria del Vescovo dom Flavio, oltre a coordinare le varie attività diocesane di pastorale, e Zelia, originaria di Abaetetuba, attuale superiora, diventata missionaria dopo essere stata per 8 anni infermiera presso il Centro medico.


Con l’aiuto di Antonietta cerco di cogliere gli aspetti più salienti dell’attività del centro passando attraverso le lunghe file di attesa, visitando gli ambulatori di medicina generale, pediatria, ortopedia, farmacia, vaccinazioni, Da un anno è stato inaugurato anche il laboratorio di analisi che ha diminuito la dipendenza verso strutture esterne con aumento della funzionalità del centro. Molto importante è il cosiddetto esame del piedino che, fatto entro i primi trenta giorni di vita, permette di diagnosticare e quindi curare malattie come fenicetonuria, ipotiroidismo e anemia falciforme. La riserva dei medicinali è scrupolosamente custodita in un ordinato deposito dove vengono preparati i vari dosaggi attingendo da forniture all’ingrosso che arrivano, per la maggior parte, direttamente dall’Italia. 


Altra attività fondamentale é quella destinata alla preparazione di prodotti dietetici a base di prodotti naturali. In una attrezzatura, chiamata misturela, vengono mescolati e tostati crusca, granoturco riso e frumento. Alla fine del processo viene aggiunto del latte in polvere ed il prodotto, adatto soprattutto per le gestanti, è pronto. In un altro locale, appositamente attrezzato vengono preparati sciroppi, integratori, infusi, pomate ed estratti, tutti a base di essenze naturali. Abbiamo così integratori a base di mandioca, sesamo e cajù, polvere di calcio ricavata dalle bucce dell’uovo, pillole di creolina per la disinfezione dell’intestino, sciroppi vari per la tosse, granuli di maracujà per il diabete, pastiglie di olio di copaiba, sciroppo di parirì per la cura dell’anemia, olio di mastruz espettorante e numerose pomate per le bruciature, il prurito e altri inconvenienti tipici della zona. Nel centro medico, oltre alle sorelle prestano la loro opera varie infermiere e quattro medici, che riescono a visitare e curare qualcosa come 65.000 persone all’anno, una media, tolti i giorni festivi, di più di 250 persone al giorno. 


In alcuni locali adiacenti al Centro medico ci sono gli uffici da cui le nostre missionarie, con l’aiuto di molti laici, coordinano tutta l’attività legata ai programmi della Pastoral da Criança. Il programma della 'pastoral da criança', vale a dire la pastorale che si prende cura dei bimbi da 0 a sei anni e delle loro famiglie, è stato lanciato nel 1982 dal cardinale di san Paolo Evaristo Arns. Questo, a grandi linee, il lavoro che viene svolto:

- Formazione di “lideres”, persone che una volta terminata la formazione saranno le coordinatrici delle équipes che lavorano nel proprio ambiente come volontari e che seguono tutto il lavoro: con questa finalità viene realizzato un corso in sei tappe con aspiranti coordinatrici venute da tutte le parrocchie della diocesi: in questo corso le “lideres” apprendono le nozioni base di igiene, salute, e tutti gli accorgimenti e le attenzioni che una mamma deve usare durante e dopo la gravidanza; alimentazione, psicologia della maternità, pianificazione familiare, ecc. 
 - Le “lideres” visitano quindicinalmente le famiglie per controllare lo sviluppo della gestante: a livello di salute, alimentazione, vaccinazioni, accessibilità all’assistenza medica e ospedaliera, ecc. Mensilmente riuniscono le madri per incontri di formazione, per controllare il peso dei piccoli, e portano avanti azioni fondamentali come avviare le madri ai controlli medici, insegnar loro a preparare il corredino del neonato, e soccorrere i casi di mancanza di alimentazione facendo campagne di informazione insieme con la comunità. 
 - Mensilmente le “li¬deres” redigono un rapporto sul lavoro fatto. 


Per avere un’idea di cosa significhi questo impegno nella sola zona di Abaetetuba bastano alcune semplici cifre: nel contesto cittadino e nelle varie frazioni e isole sono registrati quasi 70.000 bambini, di cui più di 45.000 (il 65,5%) sono considerati poveri. Ebbene le varie equipes della pastorale da criança nel solo terzo trimestre del 2005 hanno contattato e visitato 14.500 bambini, vale a dire il 31,7 % del totale. Particolare importanza ha il lavoro svolto nelle piccole comunità sperdute sulle isole dove si recano regolarmente le varie equipes di volontari. Tutto questo lavoro è coordinato dalle missionarie di Maria in affiancamento all’ufficio diocesano. 

Per terminare il quadro delle attività delle sorelle missionarie va ricordato che ognuna di loro segue per la catechesi alcune specifiche comunità affiancate da volontari adeguatamente formati. Ovviamente tutto viene svolto in sintonia con le linee pastorali della diocesi alla cui vita partecipano attivamente e con molto coinvolgimento.

Dom Flavio, vescovo di Abaetetuba
Dina nell'ufficio della Pastorale

Mal di Brasile

sábado, 19 de novembro de 2005
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In Sudan avrei dovuto andare nel periodo di Natale. Ed invece, già a partire dal 19 novembre, eccomi qui a João Pessoa. Un incrocio di motivazioni mi ci ha portato: voglia di fare qualcosa con Luis, seguire un corso di lingua portoghese, scappare un po' dall'Italia, ma soprattutto il desiderio di incontrare Francinete. Sì, proprio quella "interessante" persona conosciuta a casa di Luis durante la "galeotta" cena dello scorso mese di marzo. 

Il mio "mal di Brasile" è dunque scoppiato nel momento e nel modo in cui meno me l'aspettavo. Ma, ve lo garantisco, è una bella malattia.

28 giorni da ricordare

quinta-feira, 7 de abril de 2005
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"Parlami", mi sussurri. E all'improvviso capisco il valore delle cose che ti ho detto e soprattutto di quelle che non ti ho detto in tutti gli anni che abbiamo vissuto insieme. E' il 7 aprile: un anno esatto dalla morte di Grazia. Ed è proprio in occasione dell'anniversario che esce il mio libro dedicato a lei: 28 giorni. Un diario sofferto e amorevole degli ultimi ventotto giorni. La conclusione di una vita. Di un rapporto di coppia non sempre sereno, ma profondo e significativo. Una storia personale e nello stesso tempo universale, così come il dolore è declinato contemporaneamente al singolare e al plurale. Il libro è pubblicato da Reed Business Information, di cui sono publisher, all'interno del programma di Reed Elsevier Care, che promuove iniziative di carattere sociale in tutto il mondo. I ricavi derivanti dalla vendita verranno devoluti al Centro medico "Nostra Signora della Concezione" gestito dalle suore Missionarie di Maria ad Abaetetuba sul Rio Tocantins, stato del Parà, Brasile.

28 GIORNI

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Carla Icardi, Maruska Scotuzzi e Sabrina Lattuada sono tre mie care colleghe giornaliste. Questa è l'intervista che mi hanno fatto per la promozione del libro. 

Un diario, un racconto degli ultimi 28 giorni della propria compagna, una introspezione psicologica per cercare di superare il momento, per fare il punto della situazione, per chiudere un capitolo importante e poterne riaprire un altro con serenità. Il libro esprime emozioni, dolore, sogni, aspettative presenti e passate. Un “diario intensivo”, che inizia dal momento dell’ingresso in rianimazione di Grazia e prosegue, giorno dopo giorno, con le sensazioni e gli umori altalenanti che seguono il ritmo del respiro. Un respiro faticoso che scandisce secondo dopo secondo e che può far cadere “il castello di carta con un solo soffio”.
Ma chi si aspetta un libro unicamente intriso di dolore, si sbaglia. Oltre la sofferenza, l’incertezza, la paura, il senso di impotenza c’è altro. C’è la forza di un nucleo familiare che ha affrontato insieme dieci anni di malattia senza smettere di vivere, nemmeno per un giorno, un’esistenza normale; c’è una donna che ha affrontato il suo dramma personale trasformandolo in strumento per conoscere e aiutare altri compagni di “sventura”; c’è una figlia che ha scoperto e vissuto un legame unico con i propri genitori e un marito che ha imparato a comunicare oltre che con le parole con i gesti e con il cuore.
Abbiamo chiesto ad Alberto di raccontarci il percorso che lo ha portato a scegliere la carta e la penna quali compagni prediletti con cui dividere le tempeste che hanno sconvolto la sua anima in quei giorni. Perché hai scritto questo libro? "E’ un diario che ho cominciato quando Grazia è andata in rianimazione, cosciente che sarebbe stata portata in coma pilotato perché altrimenti non avrebbe potuto farcela. Un modo per lasciare a mia moglie una testimonianza e per raccontarle, al risveglio dal coma, quello che era successo intorno a lei. Nasce quindi in modo spontaneo, mettendo giù delle note, che sono peraltro le stesse che leggiamo oggi nel libro. Poi le cose sono cambiate, è venuta meno la speranza di una soluzione positiva. Ho comunque deciso di continuare a scrivere, perché mi serviva, una sorta di sfogo... e poi per gli altri. Credo che tante persone abbiano vissuto, lo stiano facendo in questo momento o potrebbero vivere esperienze simili o più drammatiche e la lettura del mio libro potrebbe essere loro utile". Come ti ha cambiato questa esperienza? "E’ una domanda complessa. Per molto tempo sono stato un “orso” molto riservato, oggi ho imparato a confrontarmi di più con gli altri e ad ascoltarli, o meglio, mi risulta più facile. E’ cambiato anche il mio rapporto con la vita. Diciamo che ora ne è cominciata un’altra. Non sono in lutto, assolutamente. E ho capito che se voglio ricordare veramente Grazia devo vivere intensamente questa nuova fase. Per me quei giorni sono stati fondamentali come lo sono stati anche per lei. Grazia ha visto realizzarsi il sogno di vedere sua figlia laurearsi, ha sentito fino in fondo la montagna di affetto e di amore che la circondava. E ad ogni risveglio dall’effetto della morfina è stata capace di regalare sorrisi a noi, agli amici, ai medici, a tutti!"
 Le pagine del libro riportano la fine di un percorso di estrema sofferenza, un percorso che ha impegnato Grazia per oltre 10 anni. Come può un gruppo familiare affrontare una prova così lunga? "Il capolavoro è stato di vivere dieci anni di anormalità come fossero normali. Nel ‘95 lo specialista mi disse che Grazia non sarebbe arrivata alla fine dell’anno. Un segreto che ho sempre custodito. Non lo sapeva mia moglie, non lo sapeva mia figlia. Quindi ogni giorno è stato “uno in più”. Tra l’altro Grazia non ha mai usato la malattia come arma di ricatto e io e Manuela l’abbiamo sempre trattata come una persona sana. Si alzava la mattina a prepararci la colazione, coltivava la passione del giardinaggio che esercitava sul suo balcone-foresta, faceva la mamma e molto altro". Con chi è possibile condividere il dolore? "Gli amici in quei momenti sono utili, importanti, indispensabili. Ma il tuo dolore non è condivisibile. Te ne accorgi quando capisci che al di là dell’affetto che senti per la loro presenza, non c’è nulla che ti sollevi veramente. L’amico vero è una spalla su cui piangere, e io non ho mai avuto timore di piangere. Ma poi sei solo. Anche nei rapporti con tua figlia: lei è sola nel suo dolore e tu sei solo nel tuo. Poi la bravura è riuscire, pur restando fianco a fianco, a camminare da soli. E ci stiamo riuscendo bene".
Ai colleghi "Questo libro appartiene al programma di Reed Elsevier Care. I ricavi derivanti dalla vendita (10 euro è il prezzo di copertina) verranno interamente devoluti al Centro Medico per l’infanzia “Nostra Signora della Concezione” gestito dalle Suore Missionarie di Maria ad Abaetetuba sul Rio Tocantins, stato del Parà in Brasile. Non sapendo quale dei tanti bambini aiutare quando nel lontano 1991 andammo a visitare il Centro, mia moglie decise di adottare tutta la struttura. Un grazie a tutti coloro che vorranno partecipare all’iniziativa".
 Edizione: Reed Business Information - Grafica: Marina Bonanni - Stampa: Sate

Galeotta fu la cena

terça-feira, 29 de março de 2005
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"Cazzetti dorati" è il nomignolo scherzoso affibbiato ad una mia specialità culinaria che, per andare sul sicuro, uso rifilare agli ospiti in tutte le occasioni importanti. Che quella del 29 marzo potesse essere una di queste, non avevo motivo di pensarlo, sennonchè grande fu la sorpresa quando mi trovai davanti Acacio (professore di storia e amante dell'arte italiana) e lei, l'ospite d'onore: Francinete Fernadez de Sousa, sorella "alternativa" di Francimar. "Cazzetti dorati" fu il piatto d'apertura. Una cena piacevole condita di amabili ed un tantino kafkiane conversazioni, una paio di fotografie ricordo e una strana sensazione di "complicità". Due giorni dopo, partenza per l'Italia. Addio Brasile. O piuttosto arrivederci, "se Deus quiser..."

Parola di Bidia

domingo, 27 de março de 2005
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Finalmente il 27 marzo, giorno di Pasqua, siamo di nuovo a João Pessoa. Festeggiamo la Pasqua in compagnia di Bidìa, travolgente animatrice di alcune comunità nere nella sperduta cittadina di Catolé do Roche nell’Alto Sertão del Paraiba a più di 400 km da Joao Pessoa. Darle in mano il microfono vuol dire farsi travolgere da una valanga di parole, testimonianza concreta dell'entusiasmo e della volontà messa da Bidìa nella sua attività all'interno dei progetti di AACADE.
"Mi chiamo Francisca Maria, ma tutti mi conoscono come Bidìa. Lavoro con le comunità dei neri insieme a Luis. Dopo il suo arrivo in Paraiba il nostro lavoro è più organizzato. Facciamo un lavoro di ricerca sulla situazione delle comunità: situazione economica, sanitaria, istruzione, ecc…"
Cosa significa per te essere nera?
"Nonostante la discriminazione, io cerco di occupare il mio spazio e di valorizzare la cultura negra nel suo insieme: danza, abitazione, promozione del lavoro e del reddito…"
Ma com’è la situazione delle comunità dei neri?
"In genere non abbiamo lavoro. Viviamo solo di agricoltura e quando non piove perdiamo tutto. La maggioranza di noi lavora sotto padrone e nell’insieme siamo sfruttati perché dobbiamo pagare affitti molto alti indipendentemente dal raccolto".
Qual è il sogno per il tuo popolo?
"Il mio sogno è che tutti i negri possano avere terra, educazione, abitazione, soprattutto lavoro e condizioni economiche che li mettano in grado di sostenere i figli. Che il negro sia valorizzato e i suoi diritti rispettati".
Qual è il motivo che ti porta a impegnarti per il tuo popolo?
"Ho la lotta nel sangue e ho abbracciato la causa del nero come mia propria. Sono negra e figlia di negri, di gente che è stata prima schiava, poi comunque tenuta al margine e discriminata dalla società. Questa sofferenza mi ha spinto a votarmi a questa causa che per me è quasi come un impegno di matrimonio".
Secondo te qual è il posto del nero in Brasile?
"Dovrebbe essere dappertutto, in tutti gli spazi possibili, nella politica, nella pubblica amministrazione, nella scuola. Oggi invece è al margine, nelle favelas e solitamente parte sfavorito".
Da poco si è formata la Commissione statale delle comunità dei neri del Paraiba. Qual è la finalità?
"Anch’io faccio parte della commissione e posso dire che la sua missione è molto importante perché finalmente è cominciato un processo per far emergere i problemi dei neri. Questa commissione coordina e controlla le azioni del governo e difende i diritti dei neri negli organismi pubblici. Finalmente possiamo continuare ufficialmente il lavoro iniziato negli anni passati con Luis".

Parola di Bidìa

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Finalmente il 27 marzo, giorno di Pasqua, siamo di nuovo a João Pessoa. Festeggiamo la Pasqua in compagnia di Bidìa, travolgente animatrice di alcune comunità nere nella sperduta cittadina di Catolé do Roche nell’Alto Sertão del Paraiba a più di 400 km da Joao Pessoa. Darle in mano il microfono vuol dire farsi travolgere da una valanga di parole, testimonianza concreta dell'entusiasmo e della volontà messa da Bidìa nella sua attività all'interno dei progetti di AACADE.
"Mi chiamo Francisca Maria, ma tutti mi conoscono come Bidìa. Lavoro con le comunità dei neri insieme a Luiz. Dopo il suo arrivo in Paraiba il nostro lavoro è più organizzato. Facciamo un lavoro di ricerca sulla situazione delle comunità: situazione economica, sanitaria, istruzione, ecc…"
Cosa significa per te essere nera?
"Nonostante la discriminazione, io cerco di occupare il mio spazio e di valorizzare la cultura negra nel suo insieme: danza, abitazione, promozione del lavoro e del reddito…"
Ma com’è la situazione delle comunità dei neri?
"In genere non abbiamo lavoro. Viviamo solo di agricoltura e quando non piove perdiamo tutto. La maggioranza di noi lavora sotto padrone e nell’insieme siamo sfruttati perché dobbiamo pagare affitti molto alti indipendentemente dal raccolto".
Qual è il sogno per il tuo popolo?
"Il mio sogno è che tutti i negri possano avere terra, educazione, abitazione, soprattutto lavoro e condizioni economiche che li mettano in grado di sostenere i figli. Che il negro sia valorizzato e i suoi diritti rispettati".
Qual è il motivo che ti porta a impegnarti per il tuo popolo?
"Ho la lotta nel sangue e ho abbracciato la causa del nero come mia propria. Sono negra e figlia di negri, di gente che è stata prima schiava, poi comunque tenuta al margine e discriminata dalla società. Questa sofferenza mi ha spinto a votarmi a questa causa che per me è quasi come un impegno di matrimonio".
Secondo te qual è il posto del nero in Brasile?
"Dovrebbe essere dappertutto, in tutti gli spazi possibili, nella politica, nella pubblica amministrazione, nella scuola. Oggi invece è al margine, nelle favelas e solitamente parte sfavorito".
Da poco si è formata la Commissione statale delle comunità dei neri del Paraiba. Qual è la finalità?
"Anch’io faccio parte della commissione e posso dire che la sua missione è molto importante perché finalmente è cominciato un processo per far emergere i problemi dei neri. Questa commissione coordina e controlla le azioni del governo e difende i diritti dei neri negli organismi pubblici. Finalmente possiamo continuare ufficialmente il lavoro iniziato negli anni passati con Luiz".

Giovani e neri

sábado, 26 de março de 2005
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Ad Alagoa Grande c'è una sede distaccata dell'AACADE: uno spartano appartamento con alcuni letti e amache per le eventuali soste infrasettimanali e un ufficio dove incontrare le varie comunità dei dintorni e chiunque abbia bisogno di informazioni e aiuti burocratici vari.
Qui è anche il punto di incontro di alcuni ragazzi e ragazze che, grazie alle borse di studio procurate da Luiz, stanno frequentando le scuole superiori o le scuole professionali. E’ veramente una bella atmosfera quella che si respira e la convinzione che si stia costruendo un futuro migliore ti contagia fin quasi all’entusiasmo.
Mentre Luiz e Francimar si dedicano ai loro numerosi appuntamenti, io ho tutto il tempo di raccogliere le preziose testimonianze di alcuni ragazzi.
"Mi chiamo Messias, ho 21 anni e abito all’assientamento Maria da Penha 2, sto finendo il terzo anno di agronomia nell’Istituto agrario di Bananeira. Finiti gli studi spero di poter tornare a lavorare nella mia zona per aiutare la comunità e poter dare alla mia famiglia quel benessere che non ha mai avuto".
"Il mio nome è Severino, anch’io abito a Maria da Penha 2 e faccio il primo anno di agronomia alla Bananeira. Una volta preso il diploma conto di ritornare qui per lavorare. Anch’io sogno di riuscire a tirar fuori la mia famiglia dalla miseria in cui si trova. Siamo neri ma siamo anche orgogliosi di esserlo. In questo ci sono molto d’aiuto Luiz e Franzimar. E’ molto importante il loro lavoro con noi".
"Sono Juan Vitor, e faccio parte del gruppo di studenti di Penha 1. Finiti gli studi voglio fare il veterinario nel mio insediamento, aiutare la mia famiglia e far capire ai giovani quanto sia importante studiare per poter pensare ad un futuro migliore. Certo che per noi neri non è facile. Sono fiero di essere nero, ma per sfondare devi fare più fatica. Anche nel collegio all’inizio eravamo discriminati. Parti svantaggiato e devi dimostrare coi fatti di essere bravo come gli altri, anzi più bravo. Ma poi ce la fai e vieni accettato così come sei".

L'orto di Maria do Carmo

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Finita l’intervista a Energia avevo puntato su una bella siesta in amaca, ma niente da fare. La foga di Luiz mi trascina nel vicino insediamento Severino Ramalo, un esempio riuscito di occupazione dei latifondi incolti. Qui incontriamo Maria do Carmo coordinatrice del gruppo delle donne: "Abbiamo imparato molte cose e sviluppato molti progetti. Mia figlia ha imparato a lavorare al telaio e adesso fa alcuni lavori di artigianato che vende al mercato. Noi donne abbiamo cominciato a coltivare orti organici. Ma soprattutto abbiamo sviluppato la nostra mentalità. Siamo più donne, più forti, più aperte. Scambiamo idee, informazioni, esperienze. Questa è la condizione per un futuro migliore.
Mi piace la terra e grazie a Dio e al movimento sono qui. Uscirò da questa terra solo morta. Qui è la mia vita, amo questo pezzo di terra e tutti i giorni cerco alternative".

Ricordando Margarida Maria Alves

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"E' meglio morire lottando che morire di fame” era il grido di battaglia di Margarida Maria Alves, sindacalista ammazzata nel 1983 su istigazione del potente fazendero José Buarque Gusmão Neto, detto Zito Buarque. Margarida (1943-1983) fu la prima donna presidente del sindacato dei lavoratori agricoli di Alagoa Grande e una delle fondadrici del Centro de Educação e Cultura do Trabalhador Rural. Durante la sua gestione, durata 12 anni, furono promosse più di 600 azioni e proteste contro la prepotenza dei fazenderos e dei padroni delle distillerie della regione. Dopo l'approvazione del Piano nazionale di Riforma agraria, i latifondisti intensificarono la violenza sul campo e decisero di dare una lezione a tutto il movimento con l'eliminazione fisica di Margarida. Il 12 agosto del 1983 Margarida fu uccisa con un colpo di pistola sulla porta di casa di fronte ai figli e al marito. A tutt'oggi il mandante Zito Buarque è ancora impunito.

L'orgoglio di essere nera

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A mezzogiorno arriva Cida, combattiva rappresentante di Caiana dos Crioulos, una comunità di neri rimasti fino a poco tempo fa totalmente ai margini della società. E' grazie all'azione di Luiz e Francimar che è iniziato un importante cammino di autocoscienza che sta portando molte persone a fare progetti di sviluppo e a credere nelle proprie capacità di attuarli. "Siamo una comunità di 330 famiglie. Stiamo mettendo in piedi alcune forme di artigianato e siamo organizzate in gruppi di donne. Dobbiamo organizzarci ancora meglio per garantirci un reddito migliore. La cosa importante è che abbiamo imparato ad avere coscienza di noi stessi, non abbiamo più paura della gente che viene da fuori. Adesso non abbiamo più paura di parlare e di discutere per i nostri diritti. Le donne soprattutto stanno cambiando. Non avevamo una cisterna e l’abbiamo costruita. Non abbiamo terra e adesso combattiamo per averla. Sono orgogliosa di essere donna e di essere negra".

L'orto di Maria do Carmo

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Finita l’intervista a Energia avevo puntato su una bella siestain amaca, ma niente da fare. La foga di Luiz mi trascina nel vicino insediamento Severino Ramalo, un esempio riuscito di occupazione dei latifondi incolti. Qui incontriamo Maria do Carmo coordinatrice del gruppo delle donne: "Abbiamo imparato molte cose e sviluppato molti progetti. Mia figlia ha imparato a lavorare al telaio e adesso fa alcuni lavori di artigianato che vende al mercato. Noi donne abbiamo cominciato a coltivare orti organici. Ma soprattutto abbiamo sviluppato la nostra mentalità. Siamo più donne, più forti, più aperte. Scambiamo idee, informazioni, esperienze. Questa è la condizione per un futuro migliore. Mi piace la terra e grazie a Dio e al movimento sono qui. Uscirò da questa terra solo morta. Qui è la mia vita, amo questo pezzo di terra e tutti i giorni cerco alternative".

A tutta Energia

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Il processo di coscientizzazione porta alcune persone ad impegnarsi per il cambiamento anche nel difficile ambito politico/amministrativo. Una di queste è Antonio Gonçalves, detto Energia: proviene dalla comunità Maria da Penha 1 e si è presentato come candidato alle elezioni comunali di quest'anno. Non ce l’ha fatta per pochi voti, ma è convinto che questo è stato solo il primo passo: la prossima volta andrà sicuramente meglio, anche perchè nel frattempo tante altre persone avranno preso coscienza dell'importanza di impegnarsi in prima persona per il cambiamento.

"Il mio sogno è di poter continuare a coltivare la terra e a vivere di questo lavoro. Le mie radici sono lì, ho mio padre e mia madre. Non voglio lasciare la terra per andare a vivere in una periferia di città. Sono entrato in politica per rappresentare la gente della campagna. Purtroppo non è andata bene questa volta, ma non ho intenzione di rinunciare per il futuro. Sono disposto a rischiare ancora per una buona causa anche se so che le difficoltà sono molte. Ma ho ancora voglia di tentare. L’importante è che insieme abbiamo cambiato il nostro modo di pensare, adesso siamo più coscienti e vogliamo continuare a lottare. Non siamo ancora cittadini fino in fondo perché i nostri diritti non sono riconosciuti. Non siamo ladri di terra, ma persone che combattono per i propri diritti. Non possiamo scoraggiarci, dobbiamo guardare al futuro. Per stare sulla campagna dobbiamo avere fiducia. Devo dire che in tutta questa storia un ruolo molto importante lo hanno giocato le donne. Erano timide e timorose, ma con l’esperienza dei gruppi di appoggio, hanno fatto un grande salto qualitativo e per fortuna ormai si stanno organizzando meglio perfino degli uomini".

Il Talhado: un luogo fuori dal mondo

sexta-feira, 25 de março de 2005
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Dopo aver passato la notte su spartane amache in casa di amici, al mattino del 25 marzo ci arrampichiamo sul Talhado, la parte più aspra e dura della Sierra Santa Luzia.

Quassù resistono ancora alcune famiglie di contadini che lottano duramente per la sopravvivenza.

Incontriamo Sebastiao Braz do Santos, padrone di una cava di granito, soggetta a estrazione selvaggia e intensiva da parte di una ditta di Verona.

"Ho sempre lavorato come contadino. Da quattro anni ho affittato la cava agli italiani e la mia vita è migliorata perché, anche se mi riconoscono un affitto molto modesto, sono abbastanza puntuali nel pagamento. Nella cava lavorano circa 12 persone, quasi tutte della mia famiglia. Il lavoro è duro ma, nonostante le nostre richieste, nessuno è stato messo in regola con i contributi e l'assicurazione.

Qui noi piantiamo miglio, fagioli, una volta cotone, ma adesso basta perché una malattia lo distrugge. Il problema è la pioggia, che non sai mai se e quando arriva. Certi anni perdiamo tutto a causa della siccità.

Io sono nero e sono discendente di neri. Si potrebbe migliorare la situazione, ma nessuno ci dà una mano. Per il governo è come se non esistessimo".

Franzimar e Luìs organizzano un’assemblea per la presentazione del programma del latte. “E’ venerdì santo ed è giorno di digiuno” dice Luìs. “Ma noi digiuniamo quasi tutti i giorni”, rispondono in coro.

Franzimar informa che questo programma è per le famiglie povere, in unione tra il governo federale, il governo dello stato ed il comune. Il programma non valeva per le campagne , ma nel caso dei neri si è fatta un’eccezione e quindi verrà diffuso anche alle famiglie contadine del Talhado.

A dar man forte interviene Gilvaneide, insegnante elementare e animatrice della comunità per ricordare l’importanza dell’informazione per non farsi strumentalizzare dai politici corrotti.

Franzimar termina presentando i vari programmi in corso. Cisterne per la raccolta dell’acqua, Luce per tutti, Programma del latte e rapporti con l’INCRA per il diritto alla terra.

Una fornace a cielo aperto

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Scendiamo dal Talhado e ci rechiamo a visitare la comunitá nera di Pitombeira. Tra le due comunitá ci fu per molto tempo un forte interscamdio. Pitombeira non aveva creta adatta per fare la terracotta, e il Talhado non aveva abbastanza legna per cuocere la ceramica. Terracotte in cambio di legna da ardere, e viceversa. Oggi tutto é mutato, anche perché la zona é praticamente deforestata e, anche a causa dei cambiamenti climatici, si é trasformata in un'arida savana cotta da un sole impossibile. Eppure qui, in tempi preistorici, ci visse una tribú di indios. Rimangono numerose testimonianze incise nelle rocce piatte e incandescenti, incisioni che rimandano alle ben piú famose e conosciute di Pedra d'Ingá, ad una ottantina di chilometri da João Pessoa. Nessun archeologo ha finora trovato il tempo o la voglia di procedere almeno ad una prima catalogazione dei reperti. Solo il maestro della comunitá, che ci fa da guida, sembra essere interessato a questo posto abbandonato da Dio e dagli uomini.
Come poi questa povera gente riesca a tirare avanti, é un altro dei tanti interrogativi che per molto tempo mi porterò dietro.

La terra che vogliamo

terça-feira, 22 de março de 2005
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Occupazione della terra all'Engenho de Meio. Scendiamo dalle colline del Bom Fim e ci inoltriamo in una valle verde ricca di acqua: siamo all’Engenho de Mejo. Qui una comunità di contadini ha deciso di riprendersi la terra e ha sostituito la coltivazione della canna da zucchero con orti biologici. Due anni fa, ormai sull’orlo della rinuncia a cause delle minacce dei padroni, hanno incontrato Luiz e da allora hanno ripreso coraggio e, aiutati dagli avvocati della commissione della terra, stanno proseguendo nella loro lotta. Continuano a coltivare i loro orti e tutti i sabati vanno a vendere i prodotti al mercato di Alagoa Grande. Questa la loro storia.
Francisco de Brito, 51 anni: "Dopo la morte della vecchia padrona i nuovi proprietari hanno cominciato a ostacolarci, ci hanno impedito di collegare le nostre case alla rete elettrica, e hanno cercato di negarci di coltivare la terra. Allora noi abbiamo reagito. Di nuovo hanno tentato di imporci degli affitti insostenibili ma noi abbiamo rifiutato mettendoci a coltivare la terra intorno alle nostre case. Abbiamo fatto ricorso anche al giudice che in una prima fase ci ha dato ragione. Ma le minacce continuano e ci dicono che anche in caso di sentenza favorevole ci manderanno via lo stesso. Siamo in sedici famiglie e solo due non sono con noi perché hanno paura. Ma noi continueremo la nostra lotta anche perché non abbiamo alternative. Se vogliamo dare da mangiare ai nostri figli, questa è la nostra sola possibilità".
Jeronimo Ercolano da Silva: "Ho 44 anni e ho 6 figli. Noi rivendichiamo il diritto di avere questa terra perché la coltiviamo; andremo fino alla fine. E’ la nostra unica possibilità di sussistenza. Noi siamo qui da sempre e la terra è di chi lavora sopra. Dopo anni di lavoro per il padrone per noi non era rimasto niente, nemmeno un vestito. Adesso vogliamo che la giustizia riconosca il nostro diritto.
Il padrone per ostacolarci ha mandato un trattore, ha spianato i nostri orti e vi ha piantato la canna da zucchero. Ma noi abbiamo estirpato la canna fin dalle radici e abbiamo ripiantato i nostri ortaggi".
Severina: "Dobbiamo lottare perché sotto padrone non c’è futuro. Ognuna di noi donne ha il suo orto. Adesso mi sembra di sognare ad occhi aperti. Il mio sogno è che ognuno abbia il suo pezzo di terra e che possa coltivare quello che vuole come persona libera".
Manoel de Sousa: "Ho 56 anni, sono nato e cresciuto qua. Dopo aver sempre lavorato per il padrone adesso vogliamo lavorare per noi. Liberi.
Vogliamo poter vivere di questa terra, che è bella, buona. Ha l’acqua che scorre dalle sorgenti e si può coltivare senza paura della siccità.
E devo anche dire che molto merito ce l’ha Luís, perché ci ha aiutato ad aprire gli occhi. Ringrazio prima Dio e poi lui. Senza l’aiuto di qualcuno che veniva da fuori non potevamo fare quello che abbiamo fatto. La cosa importante è che è cambiata la testa, il modo di ragionare. Adesso ci sentiamo più forti e più coraggiosi per difendere i nostri diritti".
Zé Francisco: "Vedremo da che parte sta Dio, diceva il padrone. E noi: di sicuro dalla nostra perché siamo piccoli. “E anche se vincete, dovrete uscire lo stesso”. Ma noi ci abbiamo messo le radici su questa terra e nessuno riuscirá a cacciarci".
Nicelia: "Stiamo lottando insieme ai nostri uomini, coltivando i nostri orti. Rimarremo con certezza su questa terra. Siamo cresciuti qua e non ce ne andremo. Ai nostri bambini piace moltissimo stare qui e ognuno di loro coltiva il suo piccolo orto. Il mio sogno è poter vivere qui in pace senza violenza".

Un inferno vicino al cielo

segunda-feira, 21 de março de 2005
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La comunitá del Grilo é abbarbicata su una collina rocciosa e per arrivarci bisogna arrancare su una strada a dir poco impossibile. Ci vivono da tempo immemorabile una sessantina di famiglie di discendenza nera che col tempo peró avevano perso quasi completamente la coscienza della propria identitá razziale, facendo di tutto per dimenticare la propria storia perché "nero é brutto", "nero é perdente", "nero é povertá e miseria garantita", "nero é stare ai margini della societá civile", "nero é un passato da schiavi e un futuro senza prospettive", perché "nero é l'inferno" e perché perfino Dio é "bianco" e il suo paradiso dei bianchi che se lo possono permettere. 

L'azione di Gigetto ha peró portato i suoi frutti. Maria di Lourdes, l'anziana e volonterosa animatrice della comunitá, lo ama come un figlio: "Sono orgogliosa di essere nera, Dio ha voluto cosí e sono contenta. E dopo aver conosciuto Luiz (Gigetto) sono ancora piú contenta. Lui é bianco e ha gli occhi azzurri; qui nessuno dava appoggio ai neri, dopo é venuto lui, é un amico, e anche Franzimar (la compagna di Luiz), e adesso siamo amici per sempre nel nome di Gesú". "La situazione per i neri - aggiunge Severino, il marito di Maria - qui é molto difficile, non c'é lavoro, non ci sono soldi, non c'é molta terra da coltivare. Se poi non piove non cresce nulla e non c'é da mangiare. Qui di fame ce n'é tanta e nessuno pensa a risolvere i problemi. Certamente non l'amministrazione comunale". 

"Prendiamo ad esempio il problema dell'acqua - si affretta ad aggiungere con cipiglio Fernanda - Durante la stagione secca l'unica risorsa era una sorgente a piú di un chilometro da qui. E' dovuto venire da fuori Luiz per aiutarci a costruire le prime cisterne per raccogliere l'acqua piovana. A parte lui, qui nessuno pensa a noi". 

"Nemmeno Dio? Non sará che Dio é morto?" - aggiunge ridendo Luiz. "Dio é vivo - proclama Maria di Lourdes - Siamo noi che dormiamo. Gesú non dorme. La nostra forza é piccola, ma con Dio vale molto". 

Maria di Lourdes é rimasta, qui al Grilo, l'unica custode di una tradizione antica tipica degli insediamenti neri originari: solo con l'aiuto delle mani impasta e plasma vasi e pentole di terracotta in forme tramandate immutate per secoli. Sono poche le comunitá che hanno conservato questa forma di artigianato che riporta direttamente al nucleo originario della cultura africana e Maria ne é interprete fedele, anche se probabilmente nemmeno se ne rende conto. 

Prima di lasciare il posto faccio in tempo a partecipare alla cerimonia religiosa della domenica nella minuscola cappella costruita con fatica dagli stessi abitanti: di un prete nemmeno l'ombra (un lusso troppo grande); Maria di Lourdes ed un ragazzo dirigono le letture e i canti che spandono allegria per tutto lo spazio circostante. Mi chiedo di che colore sia Dio e se veramente ci sia posto per lui su questa terra di miseria e contraddizioni.

Brasile, atto secondo

quarta-feira, 2 de março de 2005
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Il secondo incontro con il Brasile avvenne in concomitanza con un avvenimento molto doloroso: la morte di mia moglie Grazia avvenuta il 7 aprile 2004. La seppellimmo con molto affetto e profondo rimpianto ma, al posto dei soliti omaggi floreali, chiedemmo ai parenti, ai colleghi e agli amici di partecipare alla creazione di un fondo di solidarietá per il Centro medico di Abaetetuba. Sapevamo di interpretare un desiderio che Grazia durante i lunghi anni della malattia aveva chiaramente manifestato piú volte e per noi rappresentava il modo migliore di ricordarla. Il risultato fu di molto superiore alle attese e cosí Manuela ed io decidemmo di portare personalmente a destinazione i 5.700 euro raccolti (5.000 per il Centro medico e 700 per le adozioni a distanza): quasi un viaggio nella memoria alla ricerca dei ricordi e delle emozioni che tutti e tre insieme avevamo vissuto durante la visita del 1991. L'accoglienza delle suore di Abaetetuba fu molto affettuosa: tutte ricordarono con gratitudine l'impegno profuso da Grazia nel corso degli anni e accetarono con gioia di porre una sua foto ricordo nella sala d'attesa del centro medico. "Speriamo che non venga in mente alla gente di chiedere la sua protezione ed il suo aiuto: se mai dovesse avvenire qualche supposta guarigione, me la fanno santa e mi tocca anche venerarla".

Difficile descrivere la marea di emozioni quando incontrammo Rita e Marlene: ambedue giá sposate e con figli, Rita con due, Marlene con tre. Negli anni la situazione economica della famiglia non é per niente migliorata, il padre continua a bere e la mamma si porta addosso da sempre una forte anemia che non le impedisce tuttavia di continuare a massacrarsi per la sopravvivenza. Adesso le bocche da sfamare sono ancora di piú: "vuol dire che avró anche dei nipotini a distanza" fu l'unica logica riflessione che mi sentii di fare.

L'ultima parte del viaggio fu a Belém nel malfamato bairro di Cabanagem. Qui c'é una piccola comunitá di tre suore Missionarie di Maria (Maria Grazia italiana, Naira brasiliana e Maria congolese) che condividono la povertá e la voglia di riscatto di quella parte della popolazione che non ha ancora perso la speranza e la voglia di riscatto. Abitano in una casetta di legno che si distingue dalle altre solo per la pulizia e il senso di serenitá che traspare ovunque.

Purtroppo il tempo a disposizione non era molto e cosí dovemmo ben presto ripartire per la seconda tappa del viaggio: João Pessoa in Paraiba.

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