Galeotta fu la cena

terça-feira, 29 de março de 2005
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"Cazzetti dorati" è il nomignolo scherzoso affibbiato ad una mia specialità culinaria che, per andare sul sicuro, uso rifilare agli ospiti in tutte le occasioni importanti. Che quella del 29 marzo potesse essere una di queste, non avevo motivo di pensarlo, sennonchè grande fu la sorpresa quando mi trovai davanti Acacio (professore di storia e amante dell'arte italiana) e lei, l'ospite d'onore: Francinete Fernadez de Sousa, sorella "alternativa" di Francimar. "Cazzetti dorati" fu il piatto d'apertura. Una cena piacevole condita di amabili ed un tantino kafkiane conversazioni, una paio di fotografie ricordo e una strana sensazione di "complicità". Due giorni dopo, partenza per l'Italia. Addio Brasile. O piuttosto arrivederci, "se Deus quiser..."

Parola di Bidia

domingo, 27 de março de 2005
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Finalmente il 27 marzo, giorno di Pasqua, siamo di nuovo a João Pessoa. Festeggiamo la Pasqua in compagnia di Bidìa, travolgente animatrice di alcune comunità nere nella sperduta cittadina di Catolé do Roche nell’Alto Sertão del Paraiba a più di 400 km da Joao Pessoa. Darle in mano il microfono vuol dire farsi travolgere da una valanga di parole, testimonianza concreta dell'entusiasmo e della volontà messa da Bidìa nella sua attività all'interno dei progetti di AACADE.
"Mi chiamo Francisca Maria, ma tutti mi conoscono come Bidìa. Lavoro con le comunità dei neri insieme a Luis. Dopo il suo arrivo in Paraiba il nostro lavoro è più organizzato. Facciamo un lavoro di ricerca sulla situazione delle comunità: situazione economica, sanitaria, istruzione, ecc…"
Cosa significa per te essere nera?
"Nonostante la discriminazione, io cerco di occupare il mio spazio e di valorizzare la cultura negra nel suo insieme: danza, abitazione, promozione del lavoro e del reddito…"
Ma com’è la situazione delle comunità dei neri?
"In genere non abbiamo lavoro. Viviamo solo di agricoltura e quando non piove perdiamo tutto. La maggioranza di noi lavora sotto padrone e nell’insieme siamo sfruttati perché dobbiamo pagare affitti molto alti indipendentemente dal raccolto".
Qual è il sogno per il tuo popolo?
"Il mio sogno è che tutti i negri possano avere terra, educazione, abitazione, soprattutto lavoro e condizioni economiche che li mettano in grado di sostenere i figli. Che il negro sia valorizzato e i suoi diritti rispettati".
Qual è il motivo che ti porta a impegnarti per il tuo popolo?
"Ho la lotta nel sangue e ho abbracciato la causa del nero come mia propria. Sono negra e figlia di negri, di gente che è stata prima schiava, poi comunque tenuta al margine e discriminata dalla società. Questa sofferenza mi ha spinto a votarmi a questa causa che per me è quasi come un impegno di matrimonio".
Secondo te qual è il posto del nero in Brasile?
"Dovrebbe essere dappertutto, in tutti gli spazi possibili, nella politica, nella pubblica amministrazione, nella scuola. Oggi invece è al margine, nelle favelas e solitamente parte sfavorito".
Da poco si è formata la Commissione statale delle comunità dei neri del Paraiba. Qual è la finalità?
"Anch’io faccio parte della commissione e posso dire che la sua missione è molto importante perché finalmente è cominciato un processo per far emergere i problemi dei neri. Questa commissione coordina e controlla le azioni del governo e difende i diritti dei neri negli organismi pubblici. Finalmente possiamo continuare ufficialmente il lavoro iniziato negli anni passati con Luis".

Parola di Bidìa

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Finalmente il 27 marzo, giorno di Pasqua, siamo di nuovo a João Pessoa. Festeggiamo la Pasqua in compagnia di Bidìa, travolgente animatrice di alcune comunità nere nella sperduta cittadina di Catolé do Roche nell’Alto Sertão del Paraiba a più di 400 km da Joao Pessoa. Darle in mano il microfono vuol dire farsi travolgere da una valanga di parole, testimonianza concreta dell'entusiasmo e della volontà messa da Bidìa nella sua attività all'interno dei progetti di AACADE.
"Mi chiamo Francisca Maria, ma tutti mi conoscono come Bidìa. Lavoro con le comunità dei neri insieme a Luiz. Dopo il suo arrivo in Paraiba il nostro lavoro è più organizzato. Facciamo un lavoro di ricerca sulla situazione delle comunità: situazione economica, sanitaria, istruzione, ecc…"
Cosa significa per te essere nera?
"Nonostante la discriminazione, io cerco di occupare il mio spazio e di valorizzare la cultura negra nel suo insieme: danza, abitazione, promozione del lavoro e del reddito…"
Ma com’è la situazione delle comunità dei neri?
"In genere non abbiamo lavoro. Viviamo solo di agricoltura e quando non piove perdiamo tutto. La maggioranza di noi lavora sotto padrone e nell’insieme siamo sfruttati perché dobbiamo pagare affitti molto alti indipendentemente dal raccolto".
Qual è il sogno per il tuo popolo?
"Il mio sogno è che tutti i negri possano avere terra, educazione, abitazione, soprattutto lavoro e condizioni economiche che li mettano in grado di sostenere i figli. Che il negro sia valorizzato e i suoi diritti rispettati".
Qual è il motivo che ti porta a impegnarti per il tuo popolo?
"Ho la lotta nel sangue e ho abbracciato la causa del nero come mia propria. Sono negra e figlia di negri, di gente che è stata prima schiava, poi comunque tenuta al margine e discriminata dalla società. Questa sofferenza mi ha spinto a votarmi a questa causa che per me è quasi come un impegno di matrimonio".
Secondo te qual è il posto del nero in Brasile?
"Dovrebbe essere dappertutto, in tutti gli spazi possibili, nella politica, nella pubblica amministrazione, nella scuola. Oggi invece è al margine, nelle favelas e solitamente parte sfavorito".
Da poco si è formata la Commissione statale delle comunità dei neri del Paraiba. Qual è la finalità?
"Anch’io faccio parte della commissione e posso dire che la sua missione è molto importante perché finalmente è cominciato un processo per far emergere i problemi dei neri. Questa commissione coordina e controlla le azioni del governo e difende i diritti dei neri negli organismi pubblici. Finalmente possiamo continuare ufficialmente il lavoro iniziato negli anni passati con Luiz".

Giovani e neri

sábado, 26 de março de 2005
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Ad Alagoa Grande c'è una sede distaccata dell'AACADE: uno spartano appartamento con alcuni letti e amache per le eventuali soste infrasettimanali e un ufficio dove incontrare le varie comunità dei dintorni e chiunque abbia bisogno di informazioni e aiuti burocratici vari.
Qui è anche il punto di incontro di alcuni ragazzi e ragazze che, grazie alle borse di studio procurate da Luiz, stanno frequentando le scuole superiori o le scuole professionali. E’ veramente una bella atmosfera quella che si respira e la convinzione che si stia costruendo un futuro migliore ti contagia fin quasi all’entusiasmo.
Mentre Luiz e Francimar si dedicano ai loro numerosi appuntamenti, io ho tutto il tempo di raccogliere le preziose testimonianze di alcuni ragazzi.
"Mi chiamo Messias, ho 21 anni e abito all’assientamento Maria da Penha 2, sto finendo il terzo anno di agronomia nell’Istituto agrario di Bananeira. Finiti gli studi spero di poter tornare a lavorare nella mia zona per aiutare la comunità e poter dare alla mia famiglia quel benessere che non ha mai avuto".
"Il mio nome è Severino, anch’io abito a Maria da Penha 2 e faccio il primo anno di agronomia alla Bananeira. Una volta preso il diploma conto di ritornare qui per lavorare. Anch’io sogno di riuscire a tirar fuori la mia famiglia dalla miseria in cui si trova. Siamo neri ma siamo anche orgogliosi di esserlo. In questo ci sono molto d’aiuto Luiz e Franzimar. E’ molto importante il loro lavoro con noi".
"Sono Juan Vitor, e faccio parte del gruppo di studenti di Penha 1. Finiti gli studi voglio fare il veterinario nel mio insediamento, aiutare la mia famiglia e far capire ai giovani quanto sia importante studiare per poter pensare ad un futuro migliore. Certo che per noi neri non è facile. Sono fiero di essere nero, ma per sfondare devi fare più fatica. Anche nel collegio all’inizio eravamo discriminati. Parti svantaggiato e devi dimostrare coi fatti di essere bravo come gli altri, anzi più bravo. Ma poi ce la fai e vieni accettato così come sei".

L'orto di Maria do Carmo

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Finita l’intervista a Energia avevo puntato su una bella siesta in amaca, ma niente da fare. La foga di Luiz mi trascina nel vicino insediamento Severino Ramalo, un esempio riuscito di occupazione dei latifondi incolti. Qui incontriamo Maria do Carmo coordinatrice del gruppo delle donne: "Abbiamo imparato molte cose e sviluppato molti progetti. Mia figlia ha imparato a lavorare al telaio e adesso fa alcuni lavori di artigianato che vende al mercato. Noi donne abbiamo cominciato a coltivare orti organici. Ma soprattutto abbiamo sviluppato la nostra mentalità. Siamo più donne, più forti, più aperte. Scambiamo idee, informazioni, esperienze. Questa è la condizione per un futuro migliore.
Mi piace la terra e grazie a Dio e al movimento sono qui. Uscirò da questa terra solo morta. Qui è la mia vita, amo questo pezzo di terra e tutti i giorni cerco alternative".

Ricordando Margarida Maria Alves

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"E' meglio morire lottando che morire di fame” era il grido di battaglia di Margarida Maria Alves, sindacalista ammazzata nel 1983 su istigazione del potente fazendero José Buarque Gusmão Neto, detto Zito Buarque. Margarida (1943-1983) fu la prima donna presidente del sindacato dei lavoratori agricoli di Alagoa Grande e una delle fondadrici del Centro de Educação e Cultura do Trabalhador Rural. Durante la sua gestione, durata 12 anni, furono promosse più di 600 azioni e proteste contro la prepotenza dei fazenderos e dei padroni delle distillerie della regione. Dopo l'approvazione del Piano nazionale di Riforma agraria, i latifondisti intensificarono la violenza sul campo e decisero di dare una lezione a tutto il movimento con l'eliminazione fisica di Margarida. Il 12 agosto del 1983 Margarida fu uccisa con un colpo di pistola sulla porta di casa di fronte ai figli e al marito. A tutt'oggi il mandante Zito Buarque è ancora impunito.

L'orgoglio di essere nera

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A mezzogiorno arriva Cida, combattiva rappresentante di Caiana dos Crioulos, una comunità di neri rimasti fino a poco tempo fa totalmente ai margini della società. E' grazie all'azione di Luiz e Francimar che è iniziato un importante cammino di autocoscienza che sta portando molte persone a fare progetti di sviluppo e a credere nelle proprie capacità di attuarli. "Siamo una comunità di 330 famiglie. Stiamo mettendo in piedi alcune forme di artigianato e siamo organizzate in gruppi di donne. Dobbiamo organizzarci ancora meglio per garantirci un reddito migliore. La cosa importante è che abbiamo imparato ad avere coscienza di noi stessi, non abbiamo più paura della gente che viene da fuori. Adesso non abbiamo più paura di parlare e di discutere per i nostri diritti. Le donne soprattutto stanno cambiando. Non avevamo una cisterna e l’abbiamo costruita. Non abbiamo terra e adesso combattiamo per averla. Sono orgogliosa di essere donna e di essere negra".

L'orto di Maria do Carmo

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Finita l’intervista a Energia avevo puntato su una bella siestain amaca, ma niente da fare. La foga di Luiz mi trascina nel vicino insediamento Severino Ramalo, un esempio riuscito di occupazione dei latifondi incolti. Qui incontriamo Maria do Carmo coordinatrice del gruppo delle donne: "Abbiamo imparato molte cose e sviluppato molti progetti. Mia figlia ha imparato a lavorare al telaio e adesso fa alcuni lavori di artigianato che vende al mercato. Noi donne abbiamo cominciato a coltivare orti organici. Ma soprattutto abbiamo sviluppato la nostra mentalità. Siamo più donne, più forti, più aperte. Scambiamo idee, informazioni, esperienze. Questa è la condizione per un futuro migliore. Mi piace la terra e grazie a Dio e al movimento sono qui. Uscirò da questa terra solo morta. Qui è la mia vita, amo questo pezzo di terra e tutti i giorni cerco alternative".

A tutta Energia

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Il processo di coscientizzazione porta alcune persone ad impegnarsi per il cambiamento anche nel difficile ambito politico/amministrativo. Una di queste è Antonio Gonçalves, detto Energia: proviene dalla comunità Maria da Penha 1 e si è presentato come candidato alle elezioni comunali di quest'anno. Non ce l’ha fatta per pochi voti, ma è convinto che questo è stato solo il primo passo: la prossima volta andrà sicuramente meglio, anche perchè nel frattempo tante altre persone avranno preso coscienza dell'importanza di impegnarsi in prima persona per il cambiamento.

"Il mio sogno è di poter continuare a coltivare la terra e a vivere di questo lavoro. Le mie radici sono lì, ho mio padre e mia madre. Non voglio lasciare la terra per andare a vivere in una periferia di città. Sono entrato in politica per rappresentare la gente della campagna. Purtroppo non è andata bene questa volta, ma non ho intenzione di rinunciare per il futuro. Sono disposto a rischiare ancora per una buona causa anche se so che le difficoltà sono molte. Ma ho ancora voglia di tentare. L’importante è che insieme abbiamo cambiato il nostro modo di pensare, adesso siamo più coscienti e vogliamo continuare a lottare. Non siamo ancora cittadini fino in fondo perché i nostri diritti non sono riconosciuti. Non siamo ladri di terra, ma persone che combattono per i propri diritti. Non possiamo scoraggiarci, dobbiamo guardare al futuro. Per stare sulla campagna dobbiamo avere fiducia. Devo dire che in tutta questa storia un ruolo molto importante lo hanno giocato le donne. Erano timide e timorose, ma con l’esperienza dei gruppi di appoggio, hanno fatto un grande salto qualitativo e per fortuna ormai si stanno organizzando meglio perfino degli uomini".

Il Talhado: un luogo fuori dal mondo

sexta-feira, 25 de março de 2005
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Dopo aver passato la notte su spartane amache in casa di amici, al mattino del 25 marzo ci arrampichiamo sul Talhado, la parte più aspra e dura della Sierra Santa Luzia.

Quassù resistono ancora alcune famiglie di contadini che lottano duramente per la sopravvivenza.

Incontriamo Sebastiao Braz do Santos, padrone di una cava di granito, soggetta a estrazione selvaggia e intensiva da parte di una ditta di Verona.

"Ho sempre lavorato come contadino. Da quattro anni ho affittato la cava agli italiani e la mia vita è migliorata perché, anche se mi riconoscono un affitto molto modesto, sono abbastanza puntuali nel pagamento. Nella cava lavorano circa 12 persone, quasi tutte della mia famiglia. Il lavoro è duro ma, nonostante le nostre richieste, nessuno è stato messo in regola con i contributi e l'assicurazione.

Qui noi piantiamo miglio, fagioli, una volta cotone, ma adesso basta perché una malattia lo distrugge. Il problema è la pioggia, che non sai mai se e quando arriva. Certi anni perdiamo tutto a causa della siccità.

Io sono nero e sono discendente di neri. Si potrebbe migliorare la situazione, ma nessuno ci dà una mano. Per il governo è come se non esistessimo".

Franzimar e Luìs organizzano un’assemblea per la presentazione del programma del latte. “E’ venerdì santo ed è giorno di digiuno” dice Luìs. “Ma noi digiuniamo quasi tutti i giorni”, rispondono in coro.

Franzimar informa che questo programma è per le famiglie povere, in unione tra il governo federale, il governo dello stato ed il comune. Il programma non valeva per le campagne , ma nel caso dei neri si è fatta un’eccezione e quindi verrà diffuso anche alle famiglie contadine del Talhado.

A dar man forte interviene Gilvaneide, insegnante elementare e animatrice della comunità per ricordare l’importanza dell’informazione per non farsi strumentalizzare dai politici corrotti.

Franzimar termina presentando i vari programmi in corso. Cisterne per la raccolta dell’acqua, Luce per tutti, Programma del latte e rapporti con l’INCRA per il diritto alla terra.

Una fornace a cielo aperto

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Scendiamo dal Talhado e ci rechiamo a visitare la comunitá nera di Pitombeira. Tra le due comunitá ci fu per molto tempo un forte interscamdio. Pitombeira non aveva creta adatta per fare la terracotta, e il Talhado non aveva abbastanza legna per cuocere la ceramica. Terracotte in cambio di legna da ardere, e viceversa. Oggi tutto é mutato, anche perché la zona é praticamente deforestata e, anche a causa dei cambiamenti climatici, si é trasformata in un'arida savana cotta da un sole impossibile. Eppure qui, in tempi preistorici, ci visse una tribú di indios. Rimangono numerose testimonianze incise nelle rocce piatte e incandescenti, incisioni che rimandano alle ben piú famose e conosciute di Pedra d'Ingá, ad una ottantina di chilometri da João Pessoa. Nessun archeologo ha finora trovato il tempo o la voglia di procedere almeno ad una prima catalogazione dei reperti. Solo il maestro della comunitá, che ci fa da guida, sembra essere interessato a questo posto abbandonato da Dio e dagli uomini.
Come poi questa povera gente riesca a tirare avanti, é un altro dei tanti interrogativi che per molto tempo mi porterò dietro.

La terra che vogliamo

terça-feira, 22 de março de 2005
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Occupazione della terra all'Engenho de Meio. Scendiamo dalle colline del Bom Fim e ci inoltriamo in una valle verde ricca di acqua: siamo all’Engenho de Mejo. Qui una comunità di contadini ha deciso di riprendersi la terra e ha sostituito la coltivazione della canna da zucchero con orti biologici. Due anni fa, ormai sull’orlo della rinuncia a cause delle minacce dei padroni, hanno incontrato Luiz e da allora hanno ripreso coraggio e, aiutati dagli avvocati della commissione della terra, stanno proseguendo nella loro lotta. Continuano a coltivare i loro orti e tutti i sabati vanno a vendere i prodotti al mercato di Alagoa Grande. Questa la loro storia.
Francisco de Brito, 51 anni: "Dopo la morte della vecchia padrona i nuovi proprietari hanno cominciato a ostacolarci, ci hanno impedito di collegare le nostre case alla rete elettrica, e hanno cercato di negarci di coltivare la terra. Allora noi abbiamo reagito. Di nuovo hanno tentato di imporci degli affitti insostenibili ma noi abbiamo rifiutato mettendoci a coltivare la terra intorno alle nostre case. Abbiamo fatto ricorso anche al giudice che in una prima fase ci ha dato ragione. Ma le minacce continuano e ci dicono che anche in caso di sentenza favorevole ci manderanno via lo stesso. Siamo in sedici famiglie e solo due non sono con noi perché hanno paura. Ma noi continueremo la nostra lotta anche perché non abbiamo alternative. Se vogliamo dare da mangiare ai nostri figli, questa è la nostra sola possibilità".
Jeronimo Ercolano da Silva: "Ho 44 anni e ho 6 figli. Noi rivendichiamo il diritto di avere questa terra perché la coltiviamo; andremo fino alla fine. E’ la nostra unica possibilità di sussistenza. Noi siamo qui da sempre e la terra è di chi lavora sopra. Dopo anni di lavoro per il padrone per noi non era rimasto niente, nemmeno un vestito. Adesso vogliamo che la giustizia riconosca il nostro diritto.
Il padrone per ostacolarci ha mandato un trattore, ha spianato i nostri orti e vi ha piantato la canna da zucchero. Ma noi abbiamo estirpato la canna fin dalle radici e abbiamo ripiantato i nostri ortaggi".
Severina: "Dobbiamo lottare perché sotto padrone non c’è futuro. Ognuna di noi donne ha il suo orto. Adesso mi sembra di sognare ad occhi aperti. Il mio sogno è che ognuno abbia il suo pezzo di terra e che possa coltivare quello che vuole come persona libera".
Manoel de Sousa: "Ho 56 anni, sono nato e cresciuto qua. Dopo aver sempre lavorato per il padrone adesso vogliamo lavorare per noi. Liberi.
Vogliamo poter vivere di questa terra, che è bella, buona. Ha l’acqua che scorre dalle sorgenti e si può coltivare senza paura della siccità.
E devo anche dire che molto merito ce l’ha Luís, perché ci ha aiutato ad aprire gli occhi. Ringrazio prima Dio e poi lui. Senza l’aiuto di qualcuno che veniva da fuori non potevamo fare quello che abbiamo fatto. La cosa importante è che è cambiata la testa, il modo di ragionare. Adesso ci sentiamo più forti e più coraggiosi per difendere i nostri diritti".
Zé Francisco: "Vedremo da che parte sta Dio, diceva il padrone. E noi: di sicuro dalla nostra perché siamo piccoli. “E anche se vincete, dovrete uscire lo stesso”. Ma noi ci abbiamo messo le radici su questa terra e nessuno riuscirá a cacciarci".
Nicelia: "Stiamo lottando insieme ai nostri uomini, coltivando i nostri orti. Rimarremo con certezza su questa terra. Siamo cresciuti qua e non ce ne andremo. Ai nostri bambini piace moltissimo stare qui e ognuno di loro coltiva il suo piccolo orto. Il mio sogno è poter vivere qui in pace senza violenza".

Un inferno vicino al cielo

segunda-feira, 21 de março de 2005
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La comunitá del Grilo é abbarbicata su una collina rocciosa e per arrivarci bisogna arrancare su una strada a dir poco impossibile. Ci vivono da tempo immemorabile una sessantina di famiglie di discendenza nera che col tempo peró avevano perso quasi completamente la coscienza della propria identitá razziale, facendo di tutto per dimenticare la propria storia perché "nero é brutto", "nero é perdente", "nero é povertá e miseria garantita", "nero é stare ai margini della societá civile", "nero é un passato da schiavi e un futuro senza prospettive", perché "nero é l'inferno" e perché perfino Dio é "bianco" e il suo paradiso dei bianchi che se lo possono permettere. 

L'azione di Gigetto ha peró portato i suoi frutti. Maria di Lourdes, l'anziana e volonterosa animatrice della comunitá, lo ama come un figlio: "Sono orgogliosa di essere nera, Dio ha voluto cosí e sono contenta. E dopo aver conosciuto Luiz (Gigetto) sono ancora piú contenta. Lui é bianco e ha gli occhi azzurri; qui nessuno dava appoggio ai neri, dopo é venuto lui, é un amico, e anche Franzimar (la compagna di Luiz), e adesso siamo amici per sempre nel nome di Gesú". "La situazione per i neri - aggiunge Severino, il marito di Maria - qui é molto difficile, non c'é lavoro, non ci sono soldi, non c'é molta terra da coltivare. Se poi non piove non cresce nulla e non c'é da mangiare. Qui di fame ce n'é tanta e nessuno pensa a risolvere i problemi. Certamente non l'amministrazione comunale". 

"Prendiamo ad esempio il problema dell'acqua - si affretta ad aggiungere con cipiglio Fernanda - Durante la stagione secca l'unica risorsa era una sorgente a piú di un chilometro da qui. E' dovuto venire da fuori Luiz per aiutarci a costruire le prime cisterne per raccogliere l'acqua piovana. A parte lui, qui nessuno pensa a noi". 

"Nemmeno Dio? Non sará che Dio é morto?" - aggiunge ridendo Luiz. "Dio é vivo - proclama Maria di Lourdes - Siamo noi che dormiamo. Gesú non dorme. La nostra forza é piccola, ma con Dio vale molto". 

Maria di Lourdes é rimasta, qui al Grilo, l'unica custode di una tradizione antica tipica degli insediamenti neri originari: solo con l'aiuto delle mani impasta e plasma vasi e pentole di terracotta in forme tramandate immutate per secoli. Sono poche le comunitá che hanno conservato questa forma di artigianato che riporta direttamente al nucleo originario della cultura africana e Maria ne é interprete fedele, anche se probabilmente nemmeno se ne rende conto. 

Prima di lasciare il posto faccio in tempo a partecipare alla cerimonia religiosa della domenica nella minuscola cappella costruita con fatica dagli stessi abitanti: di un prete nemmeno l'ombra (un lusso troppo grande); Maria di Lourdes ed un ragazzo dirigono le letture e i canti che spandono allegria per tutto lo spazio circostante. Mi chiedo di che colore sia Dio e se veramente ci sia posto per lui su questa terra di miseria e contraddizioni.

Brasile, atto secondo

quarta-feira, 2 de março de 2005
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Il secondo incontro con il Brasile avvenne in concomitanza con un avvenimento molto doloroso: la morte di mia moglie Grazia avvenuta il 7 aprile 2004. La seppellimmo con molto affetto e profondo rimpianto ma, al posto dei soliti omaggi floreali, chiedemmo ai parenti, ai colleghi e agli amici di partecipare alla creazione di un fondo di solidarietá per il Centro medico di Abaetetuba. Sapevamo di interpretare un desiderio che Grazia durante i lunghi anni della malattia aveva chiaramente manifestato piú volte e per noi rappresentava il modo migliore di ricordarla. Il risultato fu di molto superiore alle attese e cosí Manuela ed io decidemmo di portare personalmente a destinazione i 5.700 euro raccolti (5.000 per il Centro medico e 700 per le adozioni a distanza): quasi un viaggio nella memoria alla ricerca dei ricordi e delle emozioni che tutti e tre insieme avevamo vissuto durante la visita del 1991. L'accoglienza delle suore di Abaetetuba fu molto affettuosa: tutte ricordarono con gratitudine l'impegno profuso da Grazia nel corso degli anni e accetarono con gioia di porre una sua foto ricordo nella sala d'attesa del centro medico. "Speriamo che non venga in mente alla gente di chiedere la sua protezione ed il suo aiuto: se mai dovesse avvenire qualche supposta guarigione, me la fanno santa e mi tocca anche venerarla".

Difficile descrivere la marea di emozioni quando incontrammo Rita e Marlene: ambedue giá sposate e con figli, Rita con due, Marlene con tre. Negli anni la situazione economica della famiglia non é per niente migliorata, il padre continua a bere e la mamma si porta addosso da sempre una forte anemia che non le impedisce tuttavia di continuare a massacrarsi per la sopravvivenza. Adesso le bocche da sfamare sono ancora di piú: "vuol dire che avró anche dei nipotini a distanza" fu l'unica logica riflessione che mi sentii di fare.

L'ultima parte del viaggio fu a Belém nel malfamato bairro di Cabanagem. Qui c'é una piccola comunitá di tre suore Missionarie di Maria (Maria Grazia italiana, Naira brasiliana e Maria congolese) che condividono la povertá e la voglia di riscatto di quella parte della popolazione che non ha ancora perso la speranza e la voglia di riscatto. Abitano in una casetta di legno che si distingue dalle altre solo per la pulizia e il senso di serenitá che traspare ovunque.

Purtroppo il tempo a disposizione non era molto e cosí dovemmo ben presto ripartire per la seconda tappa del viaggio: João Pessoa in Paraiba.

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