Meninas di Umburaninha

domingo, 16 de julho de 2006
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Menina
Conceição ha più o meno quattro o cinque anni ed è la figlia più grande di Virgílio. Si avvicina al papà perché vuole sapere se questo uomo grande appena arrivato è “il governo”. “No, bimba mia, il governo non va in giro in questo modo, no. Il governo se ne sta in posti buoni , nei palazzi. Non viene qui, e se gli capita di andare in mezzo alla gente ci va con la polizia, perché della gente ha paura”.

Sorrido per la spiegazione breve e realistica. Virgílio racconta aneddoti su Conceição. Come quello del giorno del suo battesimo quando tornò a casa sull’asino del padrino e ne fu molto felice. “Quando potrò essere battezzata un’altra volta, così potrò di nuovo andare sull’asino?” fu la domanda ingenua di Conceição. “Eh, ragazzo mio. Questa bambina cresce, e finirà presto l’allegria della casa”.

Osservo Leusimar, bambinetta sveglia e vanitosa nel suo vestitino nuovo, indossato in un attimo non appena fu annunciato il mio arrivo. Per me va bene vestire qualsiasi cosa qui nella foresta, senza alcuna attenzione e preoccupazione. Per il sertanejo, una visita è una visita e va preparata bene. Quando va a lavorare, tutti i modi di vestire sono buoni. Ma se va a spasso o a trovare qualcuno, lo fa con il miglior abito.

Grande ricchezza umana, segno evidente che la vita in queste asperità non abbrutisce. Pulita e ben acconciata, Leusimar è pronta per accompagnarmi. Bambina sveglia, mi cammina davanti, saltellando veloce per non rallentare il mio passo da grande. Un amorino dolce, bocciolo nel duro sertão, perla sprecata in questa immensità, fiore dai colori vivi spuntato tra le pietre. E’ proprio bello guardare questi otto annetti pieni di simpatia sfarfallare (svolazzare) lievi e curiosi per i campi verdi di pioggia, lasciando una scia di vita, senso e profumo ovunque passi. Adornando di sorrisi queste lande di umanità.

Da "Caminhos do sertão" di Luis Zadra e Mauro Bigarella, traduzione di Alberto Banal

Umburaninha: di generazione in generazione

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In questa comunitá gli anziani hanno lottato a lungo per mantenere la propria identitá e le proprie tradizioni. Per fortuna, a differenza di tante altre comunitá, qui i giovani hanno resistito e non si sono lasciati incantare dalle sirene della grande cittá. Sanno che la vita é dura, che il futuro non é assolutamente facile ma, almeno i piú coscienti, hanno deciso di rimanere e di tentare di andare avanti. É di fronte a questa voglia di lottare che acquista un valore particolare il lavoro fatto da Luis, Francimar, Bidía e Chagas.


Umburaninha: profondo nero

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Lasciata Catolé do Rocha e superata Pombal, arriviamo a Cajazeirinha. È nel territorio di questo comune che si trova una delle comunitá nere piú antiche della regione. Attraverso testimonianze orali trasmesse di generazione in generazione, si é riusciti a risalire fino al 1700 in piena epoca coloniale. Vengono ancora ricordati i nomi delle prime famiglie qui giunte scappando dalle fazendas in cui lavoravano come schiavi. La gente di qui é rimasta isolata per moltissimo tempo e conserva ancora i tratti ben precisi delle origini africane. In quest'area, insieme a Bidía, lavora come collaboratore di AACADE, suo fratello Chagas. É grazie a lui che la comunitá ha preso coscienza della propria realtá e ha ottenuto il riconoscimento ufficiale dalla Fondazione Palmares. Va anche detto che, in maniera del tutto inusuale, la comunitá ha un buon rapporto con il Sindaco che ha dimostrato nei suoi confronti una certa attenzione e che é presente in maniera attiva all'incontro di oggi. L'accoglienza va al di lá di ogni aspettativa e l'assemblea é preceduta da una colazione incredibilmente ricca, tutta basata sui prodotti e sui piatti della loro tradizione.

Un altro aspetto confortante é la presenza di molti giovani che si dimostrano protagonisti nell'organizzazione delle attivitá. La comunitá é formata da 49 famiglie per un totale di circa trecento persone. I problemi che emergono dall'incontro sono quelli di sempre: la proprietá della terra, la mancanza d'acqua, le abitazioni malsane (ci sono ancora molte case di taipa), la mancanza di opportunitá di crescita culturale e sociale.... Si discute a lungo sul fatto che da alcuni mesi é stata sospesa la consegna della cosiddetta "Cesta basica" (aiuto alimentare di base previsto dal programma "Fome zero"); e quando viene spiegato che ció dipende dal fatto che in parlamento l'opposizione ha bloccato fino a maggio l'approvazione del bilancio preventivo 2006, si viene a scoprire che qui sono tutti fans sfegatati del presidente Lula. "É il primo presidente che ha dimostrato di occuparsi veramente dei poveri e, per esperienza, tutti sanno che i neri sono i piú poveri tra i poveri". Certo, nessuno si fa illusioni che questa possa essere la soluzione definitiva, ci vuole ben altro. Ma anche il poco é meglio del niente. Adesso, peró, per quanto riguarda Umburaninha il primo grande passo é stato fatto: con il riconoscimento ufficiale di comunitá nera le prospettive sono molto piú aperte e nessuno, soprattutto i giovani, vuole lasciarsi scappare l'occasione. Lo stesso sindaco deve prendersi i suoi sacrosanti impegni: "sindaco avvisato, mezzo salvato".

Meninos di Umburaninha

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Una presenza allegra, forte e significativa sono i bambini. É difficile descrivere in poche parole le emozioni che si provano in questi incontri. Per mia fortuna, ho trovato qualcosa di giá scritto che riesce a esprimere al meglio quello che ho vissuto nelle poche ore di permanenza a Umburaninha: un pezzo dell'amico Luis, frutto dei lunghi anni passati nel Sertão

Menino I bambini conoscono tutto. Non c’è nessuno all’infuori dei bambini, che sappia spiegare la vita del sertão, svelando una realtà che per me è così difficile. I bambini del sertão hanno una vita molto dura. Sono i padroni della foresta e si ingegnano a imitare gli adulti. Fin da piccoli si costruiscono i loro giocattoli. Alti nemmeno un cacio, se ne vanno nel cortile ad allenarsi a buttare il laccio ai vitelli, si infilano un piccolo coltello nella cintura e cominciano a cacciare con lo schioppo.

Banga, nove anni e attenti occhi neri, ha già preso la sua aria da sertanejo. Rimasto orfano della mamma a cinque anni, vive con lo zio Vicente. Mi sommerge di domande su mia mamma per sentire più vicina la sua. Con la sua personalità ormai quasi definita, è una presenza significativa del posto. Mi ricorda molto altri bambini incrociati nel corso del viaggio. Come Zé Santo, con un cappellaccio di paglia fin troppo grande per la sua testa. Faccia seria, parlata tranquilla; un uomo fatto. Ha dovuto diventare adulto in fretta. Non sopporto questo bassopiano che ammazza di fatica bambini ancora acerbi. Zé Santo dallo sguardo dolce, maturato presto al lavoro, se ne va lungo il sentiero di casa in groppa al suo cavallo zebrato pungolando una vacca ossuta, inghiottito dal suo piccolo verde mondo sereno. Mi ricorda Agripino, o il piccolo Pina, gli occhi conficcatimi addosso, mentre mi chiede le cose più impensate e risponde alle mie domande con piglio sicuro e rapido, con il suo parlare colorito di commenti pieni di vivacità e fantasia.

Banga li conosce bene questi luoghi, tanto usa girarli per consegnare messaggi, cacciare con la fionda, giocare con gli amici, fare un bagno nei ruscelli. Il bambino di qui cresce fianco a fianco con gli altri bambini, vive saltando di casa in casa, giorno dopo giorno. Ed è molto utile e utilizzato. Vittima designata per le piccole incombenze, è lui che va a cercare le cose dimenticate dagli adulti, e spesso mi è di valido aiuto vista la mia poca confidenza con i sentieri del sertão. Sempre davanti, mi spiega tutto: il nome degli uccelli, i frutti commestibili della foresta, l’impiego dei vari legni. Conosce tutti i tipi di caccia, l’intricata rete dei sentieri, è sicuro su tutto: “Non si ferma mai, sembra il codino di un maiale”, come si dice nel parlare del posto. Piccolo animale cresciuto libero, si confonde nel grande respiro della natura. Sembra un capretto, scalpitante e rumoroso. Mi racconta le vicende delle famiglie che visito, i soprannomi della gente, spaventa gli uccelli, spaventa i buoi. Si fa serio e gli trapela un sorriso smorzato mentre svela i soprannomi di Manuel Gastura e Raimundo Perdido. E’ proprio un uomo fatto, adulto, conscio della sua grande responsabilità. Mio piccolo maestro negli angoli più nascosti di questo sertão e nello spazio di questa gente.

Tratto da "Caminhos do sertão" di Luis Zadra e Mauro Bigarella, traduzione di Alberto Banal

Mamme di Umburaninha

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Contendas é ufficialmente una Comunitá nera

sábado, 15 de julho de 2006
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Ci alziamo con un cielo terso e limpido come solo in Sahara o sugli altipiani d'Etiopia in inverno mi era capitato di vedere. Il primo appuntamento é con la comunitá di Contendas. Per arrivarci dobbiamo farci 30 chilometri di duro sterrato e, meno male che in previsione delle elezioni, il sindaco ha appena fatto fare qualche intervento di miglioria. Quella di Contendas é un'antica comunitá, stabilitasi sopra un antico sito indio di cui rimangono ancora alcune tracce di graffiti sulla roccia. Il luogo é talmente sperduto e ancora oggi cosí difficilmente raggiungibile che é facile immaginare perché sia stato scelto come rifugio dagli schiavi fuggiti dalla cattivitá. Terreno duro e avaro che ha reso molto aspro il sapore della libertá. Ma qui hanno vissuto generazioni e generazioni di neri che hanno cercato di mantenere le antiche tradizioni africane e ricostruire i legami tribali tragicamente troncati dallo sradicamento dalla loro terra. Oggi, in assenza di prospettive di sviluppo, i giovani se ne stanno tutti andando verso le grandi cittá lasciando soli gli anziani e i bambini: il presente é altrove ed il futuro incerto.

Le vecchie povere case sorgono attorno ad una piazza assolata dominata da una bella chiesetta: "E´molto vecchia, ha piú di cent'anni", dice un vecchio rugoso, la cui concezione del tempo é legata alla propria storia personale. Ma la speranza non muore: grazie all'azione di Bidía, Luís e Francimar, quelli che sono rimasti hanno fatto un percorso di coscientizzazione, hanno presentato la domanda di riconoscimento di Comunitá nera alla Fondazione Palmares di Brasilia. L'iter é stato completato e da oggi Contendas é ufficialmente "Comunitá nera" con tutti i diritti che ne derivano. Giorno di festa, e tutti siamo invitati al rustico ma amichevole pranzo comunitario.

Grande sertão

sexta-feira, 14 de julho de 2006
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Partiamo che é ancora notte fonda. L'appuntamento é alle 9.30 a Patos, ben oltre Campina Grande e dopo la Serra di Santa Luzia. Piú di 300 chilometri e la strada, pur in buone condizioni, non é certamente a scorrimento veloce. Luís, Francimar ed Eric, sociologo di Parigi, sono i miei compagni di viaggio. Luís e Francimar hanno programmato da tempo questo viaggio per il solito giro di incontri con le comunitá nere del serão paraibano. Per me é la prima volta e non posso nascondere la mia emozione. Il primo incontro con il sertão, il mitico sertão dei "retirantes", delle grandi siccitá, delle immani tragedie della fame, della natura selvaggia e incontaminata. Il sertão dei miei ricordi letterari legati a Guimarães Rosa. Al suo incredibile libro senza tempo e senza spazio: Grande sertão. Tre giorni di totale immersione in un mondo ancora arcaico in molte sue forme di vita. L'aria, la luce, l'acqua, e il senso della sconfinatezza ai bordi dei lunghi rettilinei gobbosi incidono nell'anima sensazioni nuove. I pensieri si accavallano veloci, cosí come veloce la nostra Toyota macina i chilometri. Alle 9.30, puntuali come qui sembra semplicemente impossibile (e inimmaginabile), siamo a destinazione. E´il segno evidente che non siamo brasiliani fino in fondo. Nemmeno Luís, nonostante i suoi 32 anni di Brasile. Ma va bene cosí. L'incontro puó cominciare.

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