Un pugno di terra - La storia della fazenda Quirino

terça-feira, 16 de agosto de 2011
0 comentários

La donna riempie la mano di terra bagnata, chiude il pugno e lo stringe fino a spremere algune gocce d’acqua. Poi lo appoggia al petto e, con un gesto di estrema tenerezza, bacia la terra bagnandola con le copiose lacrime che le stanno scorrendo dagli occhi. Nessuno nota questo gesto, eccetto la compagna che le sta a fianco e che me lo racconta il giorno dopo, non senza il timore di rompere la bellezza e l’incanto di una emozione che l’ha colpita profondamente. È il 13 di marzo 2001, fazenda Quirino. In cima alla collina che domina la regione, i mezzadri stanno assistendo alla messa tanto agognata, riuniti attorno ad una croce alla quale si aggrappano per sorreggere la loro speranza di ottenere definitivamente un pezzo di terra. Grande paura e molta fede hanno condotto in cima alla collina quel che è rimasto del gruppo di mezzadri che il padrone della fazenda sta tentando di espellere dalla terra con le più svariate forme di intimidazione e violenza. Per loro questo è il momento di aggrapparsi a quello che ancora loro rimane, la fede in Dio per continuare ad avere il coraggio di resistere. Hanno giurato a se stessi che mai avrebbero lasciato la loro terra per finire a soffrire nella periferia della città. Il giorno è nuvoloso e si sta preparando a piovere. Vicino alla croce, appena piantata, hanno messo anche una pianta di mandacaru, tipica pianta del nord est e simbolo della resistenza contadina. La croce precedente è stata divelta e spezzata dai pistoleros del fazendero, ma la scommessa di tutti è che fino a quando ci sarà vita e fede, altre croci saranno erette tutte le volte che sarà necessario, nella certezza che Dio mai abbandonerà il suo popolo. Sul minuscolo altare improvvisato sulle pietre, i bambini vi hanno appoggiato un mazzo di fiori gialli di campo dando all’insieme un tocco di inaspettata e nobile bellezza. Dall’alto della collina questi signor nessuno nordestini, che non si rassegnano ad accettare la logica del latifondo che li vuole espellere, si affidano al cielo guardando con tenerezza la loro terra assetata in attesa della pioggia. Sono Bitonho, Silvinha, Severino Paulino, Tetê, Dudinha... e un nugolo di bambini. E la benedizione, nel bel mezzo della messa, cade copiosa dal cielo bagnando e penetrando corpi e anime. In questo rituale umano e divino nello stesso tempo, viene condiviso il pane consacrato pestando con forza la terra per rinnovare la certezza che questa terra è nostra, la terra promessa. E donna Maria Helena, con il suo gesto silenzioso e profondo, consacra e nobilita questo momento. Lei ne ha già viste di tutti i colori ed è passata attraverso momenti duri e difficili che hanno lasciato tracce profonde nel corpo ma non hanno piegato l’anima. Affronta i pistoleros con una lingua affilata: queste donne sono coraggiose, onorando la memoria di un’altra donna paraibana lottatrice, Margarida Maria Alves. La storia di questa gente è sempre stata segnata dal dolore. La fazenda si trova a una sessantina di km. da João Pessoa, vicino ad Alagoa Grande, dove mani assassine inviate dal latifondista senza legge, tolsero la vita a Margarida nel 1983. Il senso di potere e di impunità del latifondo fa parte della storia di queste terre, e raggiunse l’apice con l’introduzione della canna da zucchero per la produzione di alcool. Poco è rimasto di questi progetti che hanno bruciato montagne di denaro pubblico e distrutto totalmente le foreste native riducendo la gente a pedine senza nome e senza futuro. Oggi molte fazende sono praticamente improduttive. Anche questa del Quirino che ha una superficie di quasi 1000 ettari e appartiene a Alcides Vieira de Azevedo. Su questa terra sono nate e cresciute circa 45 famiglie, mezzadri con più si 60 anni di permanenza. Il padrone ha sempre impedito che qualcuno piantasse piante da frutto, aggiustasse la casa o facesse qualche miglioria. Nel marzo del 1998 l’INCRA aveva espropriato la fazenda in quanto improduttiva. Nel 1999 la terra era stata consegnata ai mezzadri che la ribattezzarono Novo Horizonte (Nuovo Orizzonte). Ma l’orizzonte fu ben presto oscurato: su ricorso del proprietario un giudice compiacente sospese il passaggio di proprietà. Da quel momento il fazendero ha cominciato a trasformare in un inferno la vita dei mezzadri impedendogli di lavorare la terra, rifornirsi di acqua, pescare nello stagno, allevare animali in libertà, ecc... Il suo obiettivo è costringere i mezzadri a sloggiare dalla fazenda, costi quel che costi. Tutto questo con l’appoggio di pistoleros sotto la guida di Sergio Azevedo, poliziotto in servizio e parente del proprietario. In tutta la regione la maggior parte dei fazenderos si avvalgono di squadroni armati privati per spaventare i mezzadri armi alla mano e minacce e insulti di tutti i tipi. Sono già vari i casi dichiarati di contadini uccisi e impallinati. Il potere pubblico è connivente e fa finta di non vedere. Quello che più lascia esterrefatti è l’impunità totale che permette a queste bande armate di infernizzare la vita dei pacifici contadini. La vita di questa povera gente, nel corso degli ultimi due anni, è stata segnata dal dolore e dall’insicurezza. È rimasto solo un piccolo gruppo a tenere in piedi la baracca, stremati e mezzo affamati visto che non possono seminare praticamente niente. Ma grazie alla loro testardaggine e fede in Dio non ne vogliono sapere di rinunciare al loro sacrosanto diritto alla terra. Il nostro gruppo di appoggio agli insediamenti agrari di Alagoa Grande è stato coinvolto ed è solidale nella lotta per la terra.


Terminata la celebrazione della messa, all’uscita dalla fazenda, sei contadini e un professore dell’Università Federale di Campina Grande, scambiato per padre Luis, furono catturati dai pistoleros e, dopo alcune ore di sequestro nel recinto della fazenda, trasportati presso la sede della polizia locale. Il potere del latifondo è così grande che la forza pubblica non ha preso alcuna misura contro i pistoleros responsabili del sequesto che, oggi, continuano tranquillamente a girare per la regione. L’episodio ha provocato una forte reazione nell’opinione pubblica e, come conseguenza, è stata promossa una strategia per coordinare un’azione che ha coinvolto INCRA, magistratura e polizia della Paraíba. Apparentemente al momento la situazione sembra un pò più calma. La speranza della gente comincia a rinascere e, come il seme che sboccia dopo l’arrivo delle tanto desiderate piogge, ha ripreso vigore. Il 26 marzo, le famiglie dei contadini, adesso ben più animate e organizzade, hanno cominciato in gruppo a preparare la terra.


Il sorriso è tornato a spuntare sul volto di tutti e lo sguardo ha ricominciato a brillare. Durante il pranzo comunitario è stato distribuito il pesce appena pescato in abbondanza nello stagno al quale, nrgli ultimi due anni, i contadini non osavano e non potevano nemmeno tentare di avvicinarsi. È stato un momento privilegiato di abbondanza e soddisfazione, e il cibo si è trasformato nel sacramento di quello che un giorno avverrà. L’ultima parola sarà della vita.

Nel tuo pugno chiuso, Maria Helena Severina, 
stai stringendo la terra che ti ha visto nascere 
e che tu vuoi come madre. 
Questa terra sarà tua: la terra che ti ha dato la vita 
e che ha retto i tuoi giorni. 
I tuoi 39 anni sono pochi per l’età che dimostri: 
sei stata segnata nel corpo e nell’anima dalle tristezze della vita 
che però non sono riuscite a smorzare 
la tua grinta di donna che genera la vita 
e nella terra che ami con tanta tenerezza, sta il tuo segreto. 
Questa terra sarà tua, questa terra sarà nostra! 
E molto presto, dall’alto della collina 
potremo guardare con gli occhi gonfi di lacrime 
i campi verdi brillanti al sole, annunciando giorni pieni di promesse. 
E con i bambini danzeremo la ciranda di una nuova alba. 
Sarà bella la festa e la vita ancora più dolce 
quando raccoglieremo i frutti della terra conquistata con tenacia. 
Stringi forte la tua terra 
e con le tante compagne “Maria” e i compagni
difendi il tuo diritto a sognare e a vivere. 

Il 22 di aprile, una macchina fuori controllo privò della vita dona M. Helena e la sua figlia minore Sueli, lungo il bordo della strada a fianco della fazenda. Si portò via la vita ma non lo spirito nè i sogni di questa donna che in un gesto profondo aveva saputo esprimere il senso della lotta e dei sogni dei suoi compagni. Aveva avuto 16 figli e Sueli, con i suoi 5 anni pieni di vita era sempre al suo fianco. Una delle contadine commentò con amarezza: “Maria Helena ha portato con sè la piccolina perchè non voleva che soffrisse qui sulla terra come noi soffriamo”. Nella cassa hanno messo un pugno della terra tanto desiderata. La parte che le è toccata di questo latifondo che sperava fosse diviso fra tutti. E questo pugno di terra è stato il segno di un impegno rinnovato per la dignità e il pane. Ancora una volta questa terra è stata bagnata dalle lacrime della gente nella speranza di giorni migliori.

Così scriveva Luis Zadra, allora ancora prete, nel lontano 2001. Purtroppo le cose non presero la piega sperata e ci vollero altri 10 anni di lotte, delusioni, minacce e fatti gravi per arrivare finalmente alla soluzione positiva del caso. La trattativa fra INCRA e fazendero per trovare un accordo sulle condizioni indenizzatorie di un eventuale esproprio si trascinarono stancamente per anni, anche perchè era evidente una certa reticenza dell’Ente pubblico a voler veramente concludere. Probabilmente, a causa dell’onerosità dell’esproprio, la cosa non rientrava nelle priorità del momento. Finchè, nel novembre del 2007, accadde un fatto che avrebbe segnato la ripresa feroce del conflitto e l’inizio della fase finale della vicenda. Sandro, figlio maggiore di Zé Duda e Silvinha, avendo deciso di sposarsi, decide di costruirsi una casetta in cima ad una collina nella parte di territorio concessa loro temporaneamente in uso dal giudice. La reazione del fazendero non si fece attendere. Interpretando il fatto come una rottura dei patti, quasi una dichiarazione di guerra, mandò immediatamente i suoi pistoleros che con mazze e pistolettate rasero al suolo quanto già era stato costruito. I contadini questa volta non si lasciarono intimorire e ripresero con lena la costruzione della casa.


Avvenne tutto in modo rapido e inaspettato. Una decina di pistoleros, comandati dal nipote del fazendero e dal solito Sergio Azevedo, invasero la casa di Zé Duda, lo immoblizzarono e lo riempirono di botte. Distrussero tutto quello che era a portata di mano, rinchiusero bambini e ragazzi in una stanza e, una volta trovata Silvinha, la buttarono sul letto violentandola con un bastone infilato con forza nella vagina. Spararono molti colpi di intimidazione e se ne andarono ghignando. Le conseguenze per Silvinha, al di là di una grave setticemia, furono profonde soprattutto sul piano emotivo e psicologico. Ma quando ormai sembrava che tutti fossero sul punto di rinunciare, Silvinha decise che adesso era il momento di resistere come non mai. Accettò che il fatto divenisse pubblico, si sottopose a trattamento psicologico e divenne ben presto la bandiera della nuova resistenza. A Natale, con un gruppo di amici di João Pessoa, fummo al Quirino per esprimerle la nostra solidarietà: Silvinha ci accolse in piedi sulla soglia di casa, abbracciandoci uno per uno con una forza dignitosa mescolata a lacrime schive e liberatorie.



Di fronte all’acuirsi della violenza contro i contadini della fazenda Quirino e al clima di intimidazione messo in atto in molte altre realtà della Paraiba viene organizzata, nel febbraio del 2008, una assemblea pubblica straordinaria alla presenza del Segretario Generale per i Diritti Umani del Governo Lula, a cui partecipano vari deputati federali e statali, magistrati d’avanguardia, polizia e, soprattutto, rappresentanti delle comunità minacciate. L’atmosfera è tesa e drammatica e si fa veramente pesante quando vengono innalzate 22 semplici croci di legno con i nomi delle persone assassinate dai pistoleros negli ultimi 10 anni. Fa impressione sentire una giovane e coraggiosa Promotrice di giustizia fare pubblicamente il nome del poliziotto Sergio Azevedo. L’accusa è gravissima: come è possibile che sia ancora in servizio attivo un poliziotto implicato in tante vicende oscure senza che abbia una rete di protezioni ad alto livello? Molte sono le testimonianze dirette su fatti di sangue, assassini e sparizioni misteriose. Ed infine ecco la commovente e drammatica testimonianza di Evandro, figlio quindicenne di Silvinha, che quasi sembra rivivere in diretta i fatti di quella notte che mai potrà dimenticare.



Ormai la vicenda ha assunto contorni più ampi, varcando i confini della Paraíba e provoca l’intervento di varie organizzazioni internazionali, tra le quali Amnesty International. Di fronte ad una situazione di tale gravità sociale, il giudice incaricato stringe i tempi convincendo il fazendero ad accettare l’esproprio e obbligando l’INCRA a reperire i fondi necessari. Nel frattempo, alla fine della primavera del 2008 la famiglia di Silvinha decide di costruirsi una casa, nuovo silenzioso e coraggioso gesto di sfida: qui ho messo radici e da qui non mi muovo!



All’inizio del 2009 si installano nella fazenda altre famiglie di senza terra che, in assenza di altre possibilità, costruiscono le loro case con legno e fango. E finalmente il 16 agosto 2011 la tanto sospirata notizia: le controparti hanno firmato l’accordo. La terra sarà ben presto consegnata ufficialmente nelle mani dei contadini. Non ci pensiamo due volte, prendiamo la nostra Toyota e ci precipitiamo al Quirino attraversando di notte uno sterrato che già è impegnativo durante il giorno. Dopo due ore e mezza finalmente sul posto. Una festa improvvisata che più semplice e genuina non poteva essere. L’eroina, al centro di tutte le attenzioni, abbracci, baci è ovviamente Silvinha. Viva la forza delle donne. Viva la felicità di tutti. Grazie agli amici che ci sono stati a fianco. La terra è nostra. Amen!

 
La gioia dei contadini e, soprattutto dei bambini 

La famiglia di Silvinha con Luis, Amparo e Francimar 

PS. Per chi come Luis, Francimar, Amparo e negli ultimi tempi anch’io, ha accompagnato da vicino la vicenda cercando di dare tutto l’appoggio umano e organizzativo possibile, oggi è veramente un grande giorno. Quello che pareva impossibile è successo. Ancora una volta Davide ha sconfitto Golia. Graças a Deus!

Caso Battisti: il Brasile che non amo

sábado, 6 de agosto de 2011
0 comentários
Ho aspettato volutamente a esprimere un mio parere sulla vicenda dell’estradizione negata di Cesare Battisti. La decisione presa dall’ex presidente Lula, nel suo ultimo giorno di mandato, non mi aveva preso di sorpresa, ma non avevo messo in conto che Lula sarebbe arrivato a commettere un atto di vigliaccheria così grande. Sono sempre stato, e continuo ad essere, un estimatore di Lula e di quanto egli ha fatto per il cambiamento e per lo sviluppo del Brasile nei suoi otto anni di presidenza. Senza di lui la storia del Brasile avrebbe certamente preso un’altra direzione. Tutto questo, però, non basta per giustificare e nemmeno comprendere una decisione cosìsconcertante come quella di negare l’estradizione del “terrorista” Cesare Battisti. Il fatto è che esiste in Brasile un gruppo di potere ben nutrito e potente che si riconosce e si muove nell’ambito di una ideologia che definirei di “esquerdismo dogmatico” (sinistrismo dogmatico). Molti di loro hanno combattuto la dittatura militare, hanno contribuito a farla cadere, e oggi che sono al potere si considerano i censori e giudici unici del “politicamente corretto”. Giungendo in alcuni casi, e quello di Cesare Battisti, è emblematico, a proporre una interpretazione totalmente distorta della realtà, con tutte le conseguenze del caso. Per capire meglio quanto sto affermando vorrei riportare due citazioni di provenienza radicalmente diversa e, in certo modo, rappresentative dello stesso modo di pensare. La prima è dall’intervento difensivo dell’avvocato di Battisti, Luis Roberto Barroso. Barroso non è l’ultimo arrivato, anzi brilla come una stella nel firmamento forense brasiliano ed è stato protagonista di processi memorabili. Ecco il passo: “Il Brasile ha concesso l’amnistia a militanti di sinistra, a militanti di destra e a agenti dello stato per lo stesso tipo di fatti successi durante lo stesso arco di tempo. Abbiamo dato l’amnistia agli agenti dello stato, a uomini che hanno torturato ragazzi e ragazze di 18 e 20 anni con scariche elettriche nella vagina, nel pene, nell’ano, prima di gettarli dagli aerei, di strangolarli, o di rinchiuderli legati negli scarichi fognari fino a morire. Se noi abbiamo dato l’amnistia a tutti, non solo è moralmente legittimo ma anche moralmente auspicabile che il Presidente della Repubblica del Brasile non punisca in Brasile persone che qui si sono rifugiate per fatti che noi politicamente abbiamo deciso di non punire”. In parole povere: se il Brasile ha finora accettato di lasciare impuniti tutti i tipi di nefandezze commesse durante la dittatura militare, perchè dovrebbe cambiare metodo ora con Cesare Battisti? La seconda citazione è di un certo Allex Mello, un signor nessuno, che ha lasciato il suo commento in calce ad un articolo apparso su Carta Maior, potente giornale on line di sinistra: “Il tipo (Cesare Battisti) ha lottato in un piccolo ma eroico movimento contro la mafia che aveva nelle sue mani lo stato, con la protezione dalla chiesa, e si continua ancora a considerarlo un assassino? Abbiamo bisogno di “assassini” come lui qui in Brasile, per far fuori questa “mafia” politica che distrugge il nostro paese!” L’ignoranza dogmatica a braccetto con la tronfia eloquenza forense, altrettanto dogmatica! Le due facce della stessa moneta che rivelano la tragica schizofrenia di una democrazia che, mentre pensa di poter dare lezioni morali e giuridiche al resto del mondo in nome di una specie di controcolonialismo di ritorno e di una proiezione a diventare in breve una delle maggiori potenze economiche del mondo, in realtà non ha ancora affrontato e risolto i suoi problemi con il periodo della lunga dittatura militare. Colgo l’occasione per togliermi altri due “sassolini”. Il senatore Eduardo Supplicy, stimato e potente politico del PT di San Paolo, è stato uno dei più accaniti e autorevoli sostenitori della causa di Cesare Battisti, della cui amicizia si è sempre fatto vanto. Ai tempi fece scalpore una fotografia in cui lo si vedeva, com molti altri deputati e senatori brasiliani, stringendo, in segno di solidarietà, la mano di Cesare Battisti, allora in prigione. Ebbene, dopo la sentenza defintiva a favore della permanenza in Brasile di Cesare Battisti, un giornalista gli ha chiesto se questo avrebbe potuto avere conseguenze sulle relazioni diplomatiche tra Italia e Brasile. Ecco la risposta: “La maggiore conferma che le relazioni tra i due paesi restano ottime sta nella visita che Barbara Berlusconi sta facendo in Brasile con il suoi fidanzato, Alessandro Pato”. Se è una battuta, è tragica! Se, al contrario, l’affermazione è seria, beh, certe fregnacce, direbbero a Roma, caro Senatore vai a raccontarle ai tuoi allocchi!

La foto di Cesare Battisti con il senatore Supplicy, il deputato 
Luis Couto e altri parlamentari in appoggio alla sua liberazione 

Secondo sassolino. Nella fotografia citata c’era anche Luis Couto, deputato federale paraibano che conosco personalmente e che è molto impegnato nella lotta per i diritti umani. Evidentemente, in questo caso, schierandosi a favore di Battisti, ha pensato che la vittima fosse Cesare Battisti e non le vittime dei suoi attentati e, di conseguenza, il popolo italiano. Quando vidi quella foto mi feci una promessa: “La prima volta che incontrerò Luis Couto mi rifiuterò di dargli la mano dicendogli che non intendo stringere quella stessa mano che ha stretto quella di un terrorista”. Così è stato. Durante l’ultimo Incontro delle Comunità quilombolas della Paraíba, ad un certo punto è arrivato come ospite anche Luis Couto. Mi ha visto, si è avvicinato per salutarmi e io mi sono ricordato della mia promessa. “Non posso stringere la mano che ha stretto la mano di un terrorista. Tu non hai rispetto per la democrazia italiana”. La reazione di fronte ad una dichiarazione così inaspettata è stata gelida: “E tu non conosci la democrazia brasiliana”! Immaginatevi se io sono stato zitto: “Io non ho detto che conosco la democrazia brasiliana. Ho solo detto che tu non rispetti la democrazia e il popolo italiano”! “E tu non conosci i diritti umani, e adesso lasciami perdere che ho da fare!” fu l’immediata e stizzita risposta. Non ci siamo più incontrati nè, a dir la verità, mi interessa molto. Continuerò a stimarlo, ad appoggiare la sua lotta per i diritti umani, ma il suo sinistrismo dogmatico mi ha lasciato l’amaro in bocca. Ultima annotazione. Non ho volutamente parlato della superficialità con cui il governo italiano ha affrontato tutta la vicenda. Né delle ridicole e offensive dichiarazione di certi esponenti politici della destra italiana che hanno avuto l’unico merito di aumentare la tensione fra i due paesi. Ma per il resto che cosa vogliamo: non è l’Italia un paese di merda? Parola dell’onorevole Berlusconi.

AddThis

Theme por Erica Pires © 2011 - 2012 | Powered by Blogger | Todos os direitos reservados | Melhor Visualizado no Google Chrome | Topo