Ma che popolo meraviglioso! Che allegria! Che sorrisi! Che calore umano! di Francesco De Luca

sábado, 24 de janeiro de 2015
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Francesco ha accompagnato Cristian in Paraíba, nordest del Brasile, dove insieme hanno fatto una interessante esperienza in due comunità quilombolas. Grazie all’hip hop e alla break dance sono riusciti a creare un dialogo immediato con i giovani, in realtà con tutte le fasce etarie, delle due comunità. Un’esperienza totalizzante che ha lasciato un ricordo indelebile nei giovani quilombolas ma che ha marcato profondamente anche i nostri “eroi” come si può ben capire dalle parole di Francesco. 

Mi chiamo Francesco De Luca, in arte Telemare, ribattezzato in Brasile come “Françiscu du MATÃO”, ho 30 anni, calabrese di San Lucido (CS), insegno break dance da oltre 10 anni e faccio parte di una crew (gruppo) di nome COMPà DREUSH. Qualche mese dopo esser emigrato a Milano per studiare teatro, ho avuto la possibilità di continuare a coltivare e migliorare la mia passione (VITA), la break dance, in una sala gestita da b-boy Edwin (natural force crew) e proprio in queste occasioni ho avuto il piacere di conoscere Cristian (Frosties). Entrammo in simpatia, scambiammo due chiacchere e ad ogni allenamento ci sfidavamo a colpi di ballo. Solo con lui, in sfida, riuscivo a dare il meglio di me, perché quando hai di fronte qualcuno che rispetti e stimi la sfida si fa molto stuzzicante! Il suo animo mi entusiasma, così gli proposi di fare un contest (gara di break dance) al sud e con la scusa di visitare la Calabria… UN VIAGGIO STUPENDO.

Queste poche righe spiegano il perché abbia accettato la proposta di Cristian di andare in Brasile e di come la mia risposta sia stata “SI “dopo 30 secondi. “INSEGNEREMO BREAKING’ NEI QUILOMBOS” mi scrisse Cristian, ed io risposi “PRENOTA IL VOLO”!

Ad accoglierci il grande LUIS, la voce spirituale e riflessiva di quest’esperienza che ci ha aiutati a capire come gira il mondo e come Farlo Girare. Conoscerlo mi ha onorato, dialogare con lui mi ha emozionato, osservarlo mi ha fortificato.

Arriviamo nel primo quilombo, il Matão! CHE STILE! Un paesaggio bellissimo, sembrava di essere tornati indietro nel tempo, le casette, la strada di terra, gli animali liberi, gli occhi curiosi delle persone, la timidezza dei bambini. Organizziamo 2 classi: AS CRIANÇA e OS JOVENS (piccoli e grandi)! Rimango scioccato dalla capacità atletica dei piccoli (sembra che ruote e capriole per loro vengano prima del camminare) e di come riuscisse loro facile seguire il ritmo musicale… oserei direi NEL SANGUE! In Italia se non passano 3 mesi di lezioni non vedi nemmeno una ruota sulle mani! Per non parlare dell’energia, MEU DEUS che energia!!! In tutto ciò regnava sovrana LA CAPOEIRA! Tutti che “Gingavano”, e anche noi abbiamo iniziato a Gingare e dopo 5 giorni JOCAVAMU CAPUEIRA! Mentre per rilassarci danzavamo il Forrò, molto simile alla Bachata ma con uno stile diverso. Arrivava la sera e la nostra doccia consisteva nel gettarsi dell’acqua addosso con un pentolino, sempre accompagnati dalla musica di un vicino ad alto volume. Cenavamo spesso a casa di Luzia e gustavamo il cibo povero ma squisito del luogo. Creavamo dei cerchi dove si dialogava, nascevano giochi, si stava insieme… che bella cosa SI STAVA INSIEME!
Dopo 5 giorni di Matão non ti manca più niente, ti mancherà solo il Matão e il coro dei bambini che, nel momento dei saluti, cantavano "PIANGI PIANGI PIANGI" ! 

Dopo 5 giorni che sembravano essere durati due settimane, siamo pronti per conoscere la storia di un altro quilombo: PEDRA D’ÁGUA! Arriviamo e respiriamo nel momento delle presentazioni una timidezza mai vista prima. Ci sono meno bambini rispetto al Matão, ormai avevamo la dipendenza da “ABBRACCIO DEI BAMBINI”. Dobbiamo cercare di rompere il ghiaccio e iniziamo subito a ballare. Un linguaggio che parlano in tutto il mondo e che in Brasile è il più immediato. Grazie al ballo iniziamo ad interagire, la timidezza sparisce, la classe si forma, la musica va, gli occhi delle persone che ci osservano mentre ci esibiamo brillano di gioia e curiosità! La capacità di apprendere è alta, imparano subito e mi viene spontanea una domanda: ma come fanno? Boh, si balla per ore senza fermarsi, qualcuno sbircia dalla finestra, non vuole farsi vedere, si vergogna e noi sorridiamo a tutto ciò! Ci alziamo la mattina con la sveglia naturale di galli, capre e asini. Ci affacciamo sulla strada e vediamo passare muli carichi di bidoni d’acqua, perché in alcune case non c’è. Ci salutano tutti come se ci conoscessimo da sempre. Con molta timidezza qualcuno ci porta un frutto, un gelato, una tapioca. Gentilezza pura! Prendiamo parte ad una lezione di capoeira e ad una Roda. Il Pandeiro dà il ritmo e il famoso BERIMBAU detta le regole, il canto di tutti crea energia. MA CHE STILEEEE! (ho imparato a tocar (suonare) pandeiro e berimbau). In diverse occasioni cuciniamo e mangiamo insieme, un ottimo modo per dialogare e conoscersi meglio. Passeggiate sotto il caldo sole, con paesaggi da film, per raggiungere i quilombos vicini. Quanto affetto, quanto calore, che umiltà, che allegria e tantissimi abbracci!! CHE STILEEE! 

Passati 5 giorni, è il momento dell’addio; qualcuno piange e Maria, una signora anziana, ci regala l’ultimo samba a colpi di tamburello. Ritorniamo a João Pessoa, ultimi giorni, comincia a farsi sentire la SAUDADE (una vera malattia brasiliana), ma per fortuna riusciamo a finire in bellezza conoscendo una crew chiamata True king; sono veramente bravi a ballare break dance e con loro facciamo uno show di strada sul lungomare di Capo Branco. 

Ritorno in Italia con la curiosità di conoscere Alberto, la sua fama lo ha preceduto nei quilombos e con qualcosa in più che non so spiegare, un qualcosa che se ci penso esce un SORRISO! 

NON AVREI MAI IMMAGINATO CHE ATTRAVERSO LA CULTURA HIP HOP E DI CONSEGUENZA CON LA BREAK DANCE AVREI VISSUTO TUTTO QUESTO. Una sola parola mi viene in mente: CHE STILEEEE! Grazie Cristian, Grazie Luis, Grazie Alberto!



L'esperienza di Cristian e Francesco con i quilombolas della Paraíba - Nordest del Brasile

quinta-feira, 22 de janeiro de 2015
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Cristian e Francesco sono due ragazzi italiani che hanno avuto l’opportunità di passare una decina di giorni in due comunità quilombolas della Paraíba all’inizio di gennaio del 2015. Sfruttando al meglio la loro conoscenza della breakdance e dell’hip hop sono subito entrati in sintonia con tutte le fasce etarie delle due comunità. Un’esperienza profonda e gratificante per loro e le persone con le quali hanno vissuto a stretto contatto. Nelle righe a seguire l’esperienza di Cristian. 

Siamo stati 18 giorni in Brasile. Ma ne servono molti meno per farsi catturare, per far scattare il meccanismo che fa capire le cose in maniera diversa. Quando chiesi a Francesco, in arte Telemare, se volesse venire con me in Brasile, gli ci vollero 30 secondi per rispondere con un sì secco, complice anche il fatto che aveva appena concluso un’esperienza fantastica in Palestina e che eravamo già stati ottimi compagni di viaggio. Avevamo visto qualche documentario di Alberto, letto qualcosa sui Quilombos, ma eravamo ancora lontani dal farci un’idea di cosa ci aspettasse. E un’idea non volevamo farcela, sapevamo che certe cose si capiscono solo quando si vivono. Siamo stati catapultati nella prima comunità, nel potente Matão, il giorno di capodanno, dopo una ventina di ore che eravamo atterrati a Recife. Con il poco portoghese che masticavo e il cala-portoghese di Francesco (Francesco è di San Lucido, provincia di Cosenza, mentre io di Arese, vicino a Milano) ce la siamo cavati alla grande (almeno secondo noi). In ogni caso avevamo il linguaggio della danza dalla nostra e, a quanto pare, prima a Matão e dopo a Pedra d’Água era una lingua che parlavano tutti molto bene. Cosa abbiamo fatto in Brasile? Abbiamo ballato! Sempre, tutto, con tutti! Siamo andati con l’intenzione di insegnare ai ragazzi e ragazze le basi della Breakdance, e siamo tornati con la Capoeira, la Samba, il Forró per poi capire cos’è l’energia vera. Un giorno al Matão Francesco viene da me e mi dice : “Compà ho un’idea per far stancare i piccolini, cosi almeno quando insegneremo ai più grandi nel pomeriggio, ci lasceranno tranquilli”. Pronti. Due ore di percorsi a ostacoli, acrobazie, breakdance, saltare, correre, ridere. Il risultato: uno sbadiglio verso le 8 di sera. Un piccolo traguardo in quella valle dell’energia, ma insufficiente a placare la perenne potenza del Matão. Che spettacolo! E poi i pranzi a casa delle famiglie, le donne (che donne!), gli uomini della comunità, la frutta, la casa di Luzia, le chiacchierate la sera con i nostri amici, la bellezza! A Pedra d’Água la situazione era diversa, interessante, utile a farci ragionare molto e a prenderci i nostri momenti per filosofeggiare sulla vita. Anche li abbiamo ballato molto, sempre, con un’altra atmosfera ma in ogni caso stupenda. Tutti estremamente portati per il nostro ballo complicato, per il gesto atletico e il senso del ritmo. Ci hanno colpito la disciplina durante le nostre lezioni e la loro facilità nell’apprendere. A Pedra d’Água le persone sono più riservate, ma riescono in ogni caso a dimostrarci un affetto immenso. I panorami eccezionali, le camminate verso Pinga e il Quilombo del Matias, le interviste con le timide ballerine fenomenali, i manghi freschi della signora Maria, grandissima suonatrice di Pandero, le tapioche calde, il cucinare in compagnia, i concerti degli asini durante la notte, il berambau. Difficili le “despedidas”, quella dal Matão con la complicità della notte a nascondere la tristezza e la “saudade”, e quella da Pedra d’Água, dove i visi chorantes erano baciati dal sole. Rimangono le amicizie, coltivate in un tempo brevissimo, ma di un intensità difficile da descrivere. E poi c’era Luis! Che oltre ad un’accoglienza oltre l’immaginabile e, insieme ad Alberto e Francimar, ad aver reso possibile la nostra esperienza, è stata la voce fuori campo di quest’avventura, che ci ha guidati, aiutati ad osservare e comprendere gli aspetti e i comportamenti più delicati della fantastica gente che abbiamo conosciuto. Io mi sono portato a casa molto, dal Brasile, dal Nordest, dai Quilombos e della loro gente, da Luis e Francimar, dalla musica, dalla danza e dal mio compagno di viaggio Francesco. Mi sono accorto della vera magia del Breaking e della cultura Hip Hop (o RipiRopi, come si dice in Brasile). Come riesca a affascinare e catturare l’attenzione anche dei più difficili d’affascinare e di come porti lo scambio, l’autoaffermazione quella buona, lo stare insieme, la spensieratezza e la positività con naturale semplicità. Per tutti i ballerini, i bboys e le bgirls che stanno leggendo, siate consci che abbiamo a disposizione qualcosa di estremamente potente che può essere usato e deve essere usato per fare tanto, che riesce ad arrivare li dove le parole non riescono a penetrare.
Obrigado Brasil e até a próxima!

        
Fotografie nel quilombo del Matão e nel quilombo di Pedra d’Água

Aperta la mostra sui quilombos a Lentate sul Seveso

segunda-feira, 19 de janeiro de 2015
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Una intervista di Alberto Banal al settimanale Settegiorni - di Elisa Moro

sexta-feira, 9 de janeiro de 2015
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A seguire il testo integrale dell'intervista.

Com'è nato il suo impegno umanitario in Brasile? perché proprio quel paese? 
Il primo contatto con il Brasile fu nel 1991. Con mia moglie e mia figlia di 11 anni, andammo a trovare due bambine brasiliane che avevamo adottato a distanza a Nova Barcarena sul Rio delle Amazzoni: volevo che mia figlia vedesse con i suoi occhi cosa voleva dire solidarietà. Feci una tappa anche a São Luís do Maranhão per incontrare Gigetto Zadra, missionario comboniano in terra di frontiera e mio vecchio amico di infanzia. Tornai in Brasile nel 2004, un mese dopo la morte di mia moglie Grazia: un viaggio nella memoria e per portare un contributo di solidarietà ad un centro medico per bambini che avevamo cominciato a sostenere dopo il nostro primo viaggio. Gigetto, invece, non lo trovai a São Luís ma a João Pessoa, capitale dello stato della Paraiba (Nord est del Brasile), dove nel frattempo si era trasferito. Aveva rinunciato alla sua carriera di prete, si era sposato e aveva cominciato insieme alla sua compagna Francimar un lavoro con i Senza Terra e alcune comunità di afro discendenti. Rimasi affascinato da questa esperienza e, tornato in Italia, nel giro di un anno riuscii a farmi mandare in pensione potendo così decidere di cominciare un’esperienza di volontariato in Brasile. Dopo un paio di anni mi sono sposato con una brasiliana ed ora faccio un po’ il pendolare tra Italia e Brasile.

Quali sono i principali progetti che ha portato avanti in questi anni? 
Appena arrivato in Brasile sono subito entrato a far parte dell’associazione AACADE (Associazione di appoggio agli insediamenti e alle comunità afro discendenti) fondata da Gigetto (Luís) e sua moglie Francimar e ho cominciato a dare una mano soprattutto in quello che so fare meglio, la promozione e la comunicazione. Lavoriamo con piccole comunità formate da discendenti degli schiavi africani fuggiti dai latifondi durante, ma anche dopo, l’abolizione della schiavitù (1888). Si tratta generalmente di piccoli gruppi, prevalentemente da neri, che da sempre vivono ai margini della società, discriminati per il colore della pelle e quasi sempre abbandonati dal potere politico. Noi li aiutiamo nel processo di presa di coscienza della loro realtà e dei loro diritti, garantiti dalla nuova Costituzione del 1988 e facciamo da ponte con le istituzioni pubbliche affinché le politiche sociali a loro destinate arrivino veramente a destinazione. Attualmente lavoriamo con 38 comunità sparse in un territorio grande come Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Non è un lavoro facile perché quasi sempre la situazione di queste comunità (chiamate quilombos) è veramente drammatica ma anche perché il razzismo verso la popolazione nera in Brasile, anche se spesso mascherato, è molto radicato a tutti i livelli. Come dicevo, aiutiamo queste comunità sul piano istituzionale ma anche con progetti molto concreti come creazione di orti biologici, corsi di taglio e cucito, allevamento di animali da cortile, corsi di formazione per le donne… il tutto attraverso l’iniziativa del piccolo credito. Buona parte di questi progetti vengono realizzati grazie al contributo di associazioni e amici italiani. Nel frattempo ho cominciato una serie di progetti che gestisco direttamente. Tutto cominciò quando mi sposai e scoprii che mia moglie Francinete aveva da tempo in testa un’idea chiamata “Casas de leitura”, un progetto di promozione della lettura per le fasce più carenti della popolazione. Dopo alcune esperienze in alcune comunità delle periferie più problematiche di João Pessoa, decisi di applicare il progetto nelle nostre comunità quilombola. Fu così che, grazie all’aiuto di amici italiani e, soprattutto, dell’associazione Uniti per la Vita di Arese, abbiamo creato il progetto Escrilendo (Scrivere e leggere) che oggi è attivo nelle comunità del Matão, Matias e Pedra d’Água. Escrilendo aiuta i bambini di queste comunità a recuperare il gap di apprendimento dovuto all’insegnamento precario e molto deficitario che viene offerto dalle scuole che frequentano. Le animatrici le abbiamo scelte tra le ragazze del luogo che avevano terminato o stavano per terminare gli studi superiori. E proprio grazie a questa esperienza ben quattro su sette hanno avuto la possibilità di scriversi all’università, cosa semplicemente impensabile per tutte soprattutto per motivi economici. Il contributo che diamo per il loro impegno e l’aiuto che offriamo per la frequenza alle lezioni sta permettendo questo piccolo miracolo. Il nostro sogno è che, una volta terminati gli studi, possano diventare le maestre nelle scuole della loro comunità. Un altro progetto si chiama Fotógrafos de rua (Fotografi di strada). Utilizzando alcune macchine fotografiche digitali ho dato dei corsi di fotografie ai giovani e agli adolescenti di cinque comunità. Grazie alla fotografia hanno cominciato a guardare la loro realtà in un modo differente e, attraverso mostre fotografiche che abbiamo fatto nella capitale e a Campina Grande, seconda città dello stato, questi ragazzi hanno capito quanto è importante far conoscere la loro cultura e la loro storia, oltre a dare una valenza politica a questo tipo di azioni. Al di là di ogni aspettativa poi è stata la crescita della loro autostima.

Visto che siamo a inizio anno, obiettivi per il 2015? 
Nei prossimi mesi cominceremo una ricerca approfondita sulla storia di ogni gruppo e attraverso fotografie, interviste e altre iniziative creeremo in ciascuna comunità la casa della memoria. Attori saranno i giovani che coinvolgeranno adulti e anziani in modo da salvaguardare un patrimonio che altrimenti andrebbe perduto, consci che senza una conoscenza del proprio passato non ci può essere futuro. Stiamo anche esplorando la possibilità di costruire delle offerte di turismo sostenibile.

Quali sono le principali difficoltà che incontra nel lavoro quotidiano? 
La prima difficoltà è insita nella realtà stessa di queste comunità che a causa dell’isolamento e dei forti pregiudizi nei loro confronti, sono spesso le prime a non credere nelle loro capacità. Il cammino che facciamo insieme è fatto di tanti passi in avanti ma anche di tanti passi indietro. Bisogna avere molta pazienza e accettare che i loro ritmi siano differenti da quello che noi vorremmo. Poi, quando meno te l’aspetti, avvengono dei progressi incredibili e questo ti dà la forza e la voglia di continuare. Poi ci sono le difficoltà esterne: una società profondamente razzista che non accetta, o accetta molto malvolentieri, la diversità razziale e culturale, padroni di latifondi che non accettano il crescere della coscienza dei neri fino a ieri utilizzati come mano d’opera sfruttata e sottopagata, politici, soprattutto locali, abituati a comprare i voti per una manciata di soldi o concedendo piccoli favori e che vedono molto male i processi di emancipazione di queste comunità. Ci è capitato anche di essere oggetto di minacce, non sempre velate, da chi ci vede come il fumo negli occhi considerandoci i responsabili di questi cambiamenti.

Elisa Moro -Settegiorni 9 gennaio 2015

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