La terra che vogliamo

terça-feira, 22 de março de 2005
Occupazione della terra all'Engenho de Meio. Scendiamo dalle colline del Bom Fim e ci inoltriamo in una valle verde ricca di acqua: siamo all’Engenho de Mejo. Qui una comunità di contadini ha deciso di riprendersi la terra e ha sostituito la coltivazione della canna da zucchero con orti biologici. Due anni fa, ormai sull’orlo della rinuncia a cause delle minacce dei padroni, hanno incontrato Luiz e da allora hanno ripreso coraggio e, aiutati dagli avvocati della commissione della terra, stanno proseguendo nella loro lotta. Continuano a coltivare i loro orti e tutti i sabati vanno a vendere i prodotti al mercato di Alagoa Grande. Questa la loro storia.
Francisco de Brito, 51 anni: "Dopo la morte della vecchia padrona i nuovi proprietari hanno cominciato a ostacolarci, ci hanno impedito di collegare le nostre case alla rete elettrica, e hanno cercato di negarci di coltivare la terra. Allora noi abbiamo reagito. Di nuovo hanno tentato di imporci degli affitti insostenibili ma noi abbiamo rifiutato mettendoci a coltivare la terra intorno alle nostre case. Abbiamo fatto ricorso anche al giudice che in una prima fase ci ha dato ragione. Ma le minacce continuano e ci dicono che anche in caso di sentenza favorevole ci manderanno via lo stesso. Siamo in sedici famiglie e solo due non sono con noi perché hanno paura. Ma noi continueremo la nostra lotta anche perché non abbiamo alternative. Se vogliamo dare da mangiare ai nostri figli, questa è la nostra sola possibilità".
Jeronimo Ercolano da Silva: "Ho 44 anni e ho 6 figli. Noi rivendichiamo il diritto di avere questa terra perché la coltiviamo; andremo fino alla fine. E’ la nostra unica possibilità di sussistenza. Noi siamo qui da sempre e la terra è di chi lavora sopra. Dopo anni di lavoro per il padrone per noi non era rimasto niente, nemmeno un vestito. Adesso vogliamo che la giustizia riconosca il nostro diritto.
Il padrone per ostacolarci ha mandato un trattore, ha spianato i nostri orti e vi ha piantato la canna da zucchero. Ma noi abbiamo estirpato la canna fin dalle radici e abbiamo ripiantato i nostri ortaggi".
Severina: "Dobbiamo lottare perché sotto padrone non c’è futuro. Ognuna di noi donne ha il suo orto. Adesso mi sembra di sognare ad occhi aperti. Il mio sogno è che ognuno abbia il suo pezzo di terra e che possa coltivare quello che vuole come persona libera".
Manoel de Sousa: "Ho 56 anni, sono nato e cresciuto qua. Dopo aver sempre lavorato per il padrone adesso vogliamo lavorare per noi. Liberi.
Vogliamo poter vivere di questa terra, che è bella, buona. Ha l’acqua che scorre dalle sorgenti e si può coltivare senza paura della siccità.
E devo anche dire che molto merito ce l’ha Luís, perché ci ha aiutato ad aprire gli occhi. Ringrazio prima Dio e poi lui. Senza l’aiuto di qualcuno che veniva da fuori non potevamo fare quello che abbiamo fatto. La cosa importante è che è cambiata la testa, il modo di ragionare. Adesso ci sentiamo più forti e più coraggiosi per difendere i nostri diritti".
Zé Francisco: "Vedremo da che parte sta Dio, diceva il padrone. E noi: di sicuro dalla nostra perché siamo piccoli. “E anche se vincete, dovrete uscire lo stesso”. Ma noi ci abbiamo messo le radici su questa terra e nessuno riuscirá a cacciarci".
Nicelia: "Stiamo lottando insieme ai nostri uomini, coltivando i nostri orti. Rimarremo con certezza su questa terra. Siamo cresciuti qua e non ce ne andremo. Ai nostri bambini piace moltissimo stare qui e ognuno di loro coltiva il suo piccolo orto. Il mio sogno è poter vivere qui in pace senza violenza".

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