Strade del sertão

domingo, 27 de setembro de 2009
Ti ritrovi, a volte, nei posti più impensabili e differenti per continente, latitudine e clima. Eppure, per non so quale suggestione, ti sembra di esserci già passato e di aver provato più o meno le stesse sensazioni. In realtà, al di là delle possibili somiglianze, è la tua anima che si ritrova, che scava ricordi persi nell’inconscio, che ricostruisce convergenze improbabili. Insomma non è il luogo che stai attraversando a suggerire somiglianze antiche, ma tu viandante nel tempo e nello spazio a fondere vecchie e nuove sensazioni in un nuovo amalgama. È quello che mi sta succedendo oggi, mentre con Luís e Francimar sto percorrendo la pista sterrata che unisce Diamante a Manaíra scavalcando la serie di assolate e assetate montagne che divide trasversalmente il sertão della Paraíba. Non era così la strada che saliva al monastero di Debre Damo in Etiopia? O quella che portava al monastero di Tatev in Armenia? O, ancor di più, quello sterrato arido che si arrampicava su su fino all’antica chiesa georgiana di Iþhan alle pendici del Caucaso turco? Mi rendo conto di quanto sia improbabile il cocktail di sensazioni che sto lentamente sorseggiando. In fin dei conti non cè ragione alcuna che mi spinga a rifiutare accostamenti tanto virtuali quanto concreti, in un gioco di illusioni mutanti come quelle di uno stroboscopio. Un sapore, dolce e aspro nello stesso tempo, che lascia tracce persistenti proponendo gusti nuovi ma dalle caratteristiche antiche. Così mentre Luis fa avanzare sapientemente la vecchia Toyota, lascio che gli occhi e la mente contemplino il panorama sempre nuovo e sempre uguale che ad ogni curva si para davanti agli occhi. Terra di nessuno, se non fosse per alcune scheletriche case rurali, per gli improvvisi laghetti azzurri fino all’impossibile, per le ampie macchie di caatinga secca ma pronta a rinascere alla prima pioggia. Terra immobile se non fosse per l’impolverato camioncino incrociato nel mezzo del cammino (l’unico mezzo a motore, oltre a due motociclette, in due ore di viaggio), un uomo a cavallo, una donna con somaro, ambedue stracarichi, due bambini a dorso di asino e un fanciullo carico di legna. Tutte qui le tracce di umanità in questa landa desolata. Finalmente, dopo una sessantina di chilometri, eccoci al piccolo borgo di Manaíra. È giorno di mercato e la piazza pullula di bancarelle e di persone. Da dove sbuchi tutta questa gente, Dio solo lo sa!














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