Meninos di Umburaninha

domingo, 16 de julho de 2006
Una presenza allegra, forte e significativa sono i bambini. É difficile descrivere in poche parole le emozioni che si provano in questi incontri. Per mia fortuna, ho trovato qualcosa di giá scritto che riesce a esprimere al meglio quello che ho vissuto nelle poche ore di permanenza a Umburaninha: un pezzo dell'amico Luis, frutto dei lunghi anni passati nel Sertão

Menino I bambini conoscono tutto. Non c’è nessuno all’infuori dei bambini, che sappia spiegare la vita del sertão, svelando una realtà che per me è così difficile. I bambini del sertão hanno una vita molto dura. Sono i padroni della foresta e si ingegnano a imitare gli adulti. Fin da piccoli si costruiscono i loro giocattoli. Alti nemmeno un cacio, se ne vanno nel cortile ad allenarsi a buttare il laccio ai vitelli, si infilano un piccolo coltello nella cintura e cominciano a cacciare con lo schioppo.

Banga, nove anni e attenti occhi neri, ha già preso la sua aria da sertanejo. Rimasto orfano della mamma a cinque anni, vive con lo zio Vicente. Mi sommerge di domande su mia mamma per sentire più vicina la sua. Con la sua personalità ormai quasi definita, è una presenza significativa del posto. Mi ricorda molto altri bambini incrociati nel corso del viaggio. Come Zé Santo, con un cappellaccio di paglia fin troppo grande per la sua testa. Faccia seria, parlata tranquilla; un uomo fatto. Ha dovuto diventare adulto in fretta. Non sopporto questo bassopiano che ammazza di fatica bambini ancora acerbi. Zé Santo dallo sguardo dolce, maturato presto al lavoro, se ne va lungo il sentiero di casa in groppa al suo cavallo zebrato pungolando una vacca ossuta, inghiottito dal suo piccolo verde mondo sereno. Mi ricorda Agripino, o il piccolo Pina, gli occhi conficcatimi addosso, mentre mi chiede le cose più impensate e risponde alle mie domande con piglio sicuro e rapido, con il suo parlare colorito di commenti pieni di vivacità e fantasia.

Banga li conosce bene questi luoghi, tanto usa girarli per consegnare messaggi, cacciare con la fionda, giocare con gli amici, fare un bagno nei ruscelli. Il bambino di qui cresce fianco a fianco con gli altri bambini, vive saltando di casa in casa, giorno dopo giorno. Ed è molto utile e utilizzato. Vittima designata per le piccole incombenze, è lui che va a cercare le cose dimenticate dagli adulti, e spesso mi è di valido aiuto vista la mia poca confidenza con i sentieri del sertão. Sempre davanti, mi spiega tutto: il nome degli uccelli, i frutti commestibili della foresta, l’impiego dei vari legni. Conosce tutti i tipi di caccia, l’intricata rete dei sentieri, è sicuro su tutto: “Non si ferma mai, sembra il codino di un maiale”, come si dice nel parlare del posto. Piccolo animale cresciuto libero, si confonde nel grande respiro della natura. Sembra un capretto, scalpitante e rumoroso. Mi racconta le vicende delle famiglie che visito, i soprannomi della gente, spaventa gli uccelli, spaventa i buoi. Si fa serio e gli trapela un sorriso smorzato mentre svela i soprannomi di Manuel Gastura e Raimundo Perdido. E’ proprio un uomo fatto, adulto, conscio della sua grande responsabilità. Mio piccolo maestro negli angoli più nascosti di questo sertão e nello spazio di questa gente.

Tratto da "Caminhos do sertão" di Luis Zadra e Mauro Bigarella, traduzione di Alberto Banal

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