QUILOMBOLAS IN FESTA COM DOM ZUMBI

quarta-feira, 21 de novembro de 2012
Piú di 100 quilombolas festeggiano il giorno della coscienza nera in compagnia di monsignor José Maria Pires (Dom Zumbi) – 20 di novembre al MAC di Campina Grande 

L’associazione di appoggio alle comunità afro discendenti – AACADE – e il Coordinamento delle comunità quilombolas della Paraíba – CECNEQ -, con l’appoggio e la collaborazione del Museo Assis Chateaubriand – MAC -, hanno organizzato un incontro con le comunità quilombolas della Paraíba per commemorare il giorno della coscienza nera il 20 novembre 2012. L’evento è avvenuto al MAC dove è in corso la mostra fotografica “Quilombos della Paraiba, la realtà di oggi e le sfide per il futuro” del fotografof italiano Alberto Banal e dei 52 alunni quilombolas del progetto Fotógrafos de rua. Il successo è andato al di là di qualsiasi aspettativa perchè si è riusciti a organizzare la venuta di più di cento quilombolas di otto comunità. Uno dei momenti salienti è stato l’incontro dei quilombolas con l’Arcivescovo emerito della Paraíba, monsignor José Maria Pires, che, tra l’altro, fu il primo vescovo nero del Brasile. Ma cerchiamo di seguire l’ordine dei fatti, perché l’agenda del giorno è stata piena e densa di appuntamenti.

Panoramica dell'entrata al museo

Sul far del giorno Luis e Francimar, dell’associazione AACADE, sono andati al quilombo del Grilo per prendere dona Lurdes e Paquinha, con il loro sacco di argilla per la preparazione di vasi e padelle in ceramica. L’arrivo al museo è stato in contemporanea con la macchina che era andata a prendere i tre rappresentanti del quilombo Bonfim e l’equipe dei giornalisti del Jornal da Paraiba e della União. “Non ho nemmeno cominciato a lavorare, che già bisogna parlare – dice ridendo dona Lurdes – ma, senza alcun problema o timore, non si fa pregare per raccontare la storia sofferta della sua vita. Zezihno, di Bonfim, sottolinea che dopo aver ottenuto la terra, tutto è cambiato: “Adesso sì che è vita! Prima la gente poteva solo respirare e mangiare, quando c’era. Il resto era soggezione al padrone, lavoro schiavo”. Fino a poco tempo fa, per qualsiasi quilombola, che generalmente non era istruito e quasi non aveva contatti con la “civile”, era inimmaginabile affrontare una conversazione con un estraneo, figurarsi con un giornalista. “Ma i tempi sono cambiati, o meglio la testa, la mentalità, è cambiata – afferma con decisione Paquinha –, adesso io so cosa significa essere nero, ne sono orgogliosa, cammino e parlo a testa alta di fronte a chiunque, fosse anche il presidente della repubblica”.

Dona Lurdes e Paquinha con le giornaliste e Francimar 
                            Zezihno durante l’intervista                 Dona Lurdes intervistata per il telegiornale

Il lavoro di AACADE con le comunità sta dando i suoi frutti ed è un piacere condividere queste significative conquiste. L’arrivo alle 11. del gruppo di capoeira di Matias riempie l’atrio del museo e le sale espositive di allegria. L’esibizione dei giovani capoeristi coinvolge immediatamente le due classi di studenti in visita.


Finalmente, dopo un lungo viasggio, alle 12.00, il pulmino messo a disposizione dall’università di Cajazeiras, sbarca i rappresentanti dei quilombos Negros das Barreiras e Os Rufinos. Festa grande e molta emozione quando il gruppo entra nel museo accompagnando Seu Domingos, il patriarca di 84 anni diventato una icona della stessa esposizione. Dopo pranzo si forma un cerchio attento attorno al gruppetto di vecchi quilombolas che emozionano i numerosi presenti con le storie delle loro vite, delle tradizioni e dei costumi tramandati dagli antenati. Zé Pequeno, leader del quilombo Barreiras, non si stanca di ricordare ai giovani l’importanza dello .studio come condizione per costruire un futuro migliore.

Francimar, AACADE, mentre organizza il dibattito

 Gli interventi di Paquinha e di Zé Pequeno 

Alle 14,30 finalmente ce la fanno ad arrivare la trentina di alunni di Fotógrafos de rua e il gruppo della ciranda dei quilombos Grilo, Pedra d’Água e Matão. Il pullman messo a disposizione dalla UEPB è andato a prenderli con più di un’ora di ritardo e io sono furente per quello che considero una mancanza di rispetto, ma i giovani quilombolas non fanno una piega tanta è la felicità e l’allegria di di incontrarsi con gli amici di altre comunità condividendo nuove esperienze. La forza ritmata del tonfo della zabumba del Grilo spinge la gente a esprimere la sua profonda voglia di vivere in una danza vibrante e allegra. Alle 15.30 il momento saliente del giorno: l’incontro con “Dom Zumbi”, vale a dire monsignor José Maria Pires, che si è guadagnato questo soprannome per la sua lotta a favore della gente nera. Sono andato a prendere monsignor José all’aeroporto di Campina Grande dove arrivò solo soletto dopo un viaggio, con scalo a Salvador, di più di 5 ore. Con i suoi 93 anni, risale con passo fermo la bianca rampa che porta al museo, carico di ricordi del passato e speranze per il futuro. Entro nella sala rumorosa e annuncio l’arrivo di Dom José. Alcuni secondi di silenzio e subito si scatena una baraonda di abbracci, baci sulla guancia, bacio dell’anello episcopale, in ginocchio… ciascuno a modo suo, come il cuore, la tradizione, le usanze, comandano. Dom José ha un gesto affettuoso per tutti, che è speciale per i bambini e gli anziani. Profondo è l’abbraccio con Seu Domingos. Smilzo com’è, Zé Pequeno si perde nella magrezza longilinea di Dom José. E affettuosi sono gli abbracci e i baci di dona Lurdes: “Lui è stato in casa mia, ha mangiato al mio tavolo”.

L’arrivo di dom José all’aeroporto

L’abbraccio di dona Lurdes           L’incontro con Seu Domingos                     

Le parole di Dom José sono ferme, sicure, comprensibili a tutti, frutto di molti studi teorici e alla scuola della vita. “Stiamo raccogliendo oggi e in questo luogo i frutti del sangue di Zumbi, simbolo della resistenza dei nostri antenati. Furono deportati a forza dall’Africa verso queste terre, strappati alla loro patria, separarti dalla loro gente e dalla loro famiglia, mescolati con neri di altre lingue e altri costumi. Hanno violentato la loro coscienza imponendo una religione che non avevano scelto… Neri, miei fratelli! Come i nostri antenati, siamo venuti da luoghi differenti. Un po’ diversi da loro e meno puri, oggi abbiamo pelli con intensità di colore variata. Nell’anima abbiamo credenze differenti. Ma in loro e in noi sono presenti e indelebili i segni della negritudine. Siamo negri e non ce ne vergognamo, non vogliamo vergognarci di esserlo. Il nero non è inferiore a nessuno. Siamo tutti uguali e la società ha il dovere di dare ai neri quello che spetta loro di diritto”. Dom José parla con il cuore in mano e la gente comprende perfettamente la lezione di una vita dedicata completamente alla difesa dei diritti umani, soprattutto dei neri. 


Quando la ciranda riprende Dom José entra nella ruota con passi levi e esperti. E come la gente apprezzò. Perché nulla di esibizionista o folcloristico appariva in quel gesto semplice e spontaneo. Lungi da letture intellettualoidi e forzate, la gente ne ha percepito il vero significato: una forma speciale di comunione. 



E quando la festa sembrava sul punto di finire, ecco arrivare le cirandeiras di Caiana dos Crioulos, guidate dall’incredibile e trascinante Cida. Ogni passo un ricordo, ogni battuta un progetto, ogni giro un sogno, ogni canzone un urlo: vivo la gente nera, viva i quilombolas, viva Zumbi. 




Luis Zadra, Dom José Maria Pires, Alberto Banal 

Dom José con alcuni giovani quilombolas del Matão

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