Matão: alla soglia della sopravvivenza

segunda-feira, 7 de fevereiro de 2005
Nella tarda mattinata di lunedì 21 marzo arriviamo presso la comunità rurale di Matão che si trova su un pendio arido e ventoso. È costituita da 28 famiglie e ci sono 87 bambini che frequentano la piccola scuola. Vi insegnano due maestri del luogo che hanno potuto studiare grazie alle borse di studio procurate da Luìs. Da allora finalmente viene garantita un discreta istruzione di base.

Qui il problema principale è la mancanza della terra da lavorare per cui la maggioranza degli uomini deve andare lontano a cercare qualcosa da fare. La comunità era allo sbando e abbandonata a se stessa. Adesso, grazie all’intervento di Luìs, alcuni giovani stanno prendendo coscienza e funziona anche un gruppo di donne che stanno cercando di iniziare alcune attività di artigianato.

José (uno dei nuovi professori): "il primo problema del Matão è la siccità, conseguenza della cronica mancanza d’acqua. E questo provoca grandi problemi alla gente e alla terra da coltivare".

Gilmar (maestro): "Il secondo problema è la mancanza di lavoro per cui bisogna andare a cercarlo altrove. Tornando al discorso dell’acqua la notizia positiva è che, grazie all’aiuto di Luìs, siamo stati inseriti anche noi nel progetto “un milione di cisterne” per raccogliere l’acqua piovana e così avremo l’acqua potabile per tutto l’anno.

Per quanto riguarda i giovani alcuni di noi stanno studiando fuori, così potremo avere una prospettiva diversa cominciando a migliorare il posto in cui viviamo".

"Non si tratta di una prospettiva solo personale - aggiunge José - noi dobbiamo emergere insieme alla nostra comunità, fare un cammino insieme. Siamo parte di questa comunità e dobbiamo aiutarla a svilupparsi insieme a noi".

"Un altro aspetto da non dimenticare (Gilmar) è il nostro processo di coscientizzazione. E’ già da tempo che ho coscienza di essere nero e questo è importante. Ho capito che devi valorizzarti per quello che sei, altrimenti non hai identità. Noi non siamo inferiori agli altri, e dobbiamo sempre avere coscienza di questo".

"Ho la certezza che sono nera - rivendica Gilvaneide - questo non mi fa male e non mi sento discriminata. Il mio sogno è di studiare e ottenere qualcosa di meglio più avanti. Per me, per la mia famiglia e per la comunità".

Al dibattito si aggiunge anche la voce di Silvania, una giovane mamma con un grazioso bimbo in braccio: " Nera sono. Sì, è vero, sembro gallega, cioè più chiara, ma io so che il mio sangue è nero, come tutto quello della comunità del Matão. La situazione qui è sempre stata difficile ma, per fortuna, adesso sta cambiando. Grazie al lavoro dell’associazione noi stiamo prendendo coscienza, siamo entrati in contatto con altre realtà e questo ci ha aiutati ad aprire la mente, a capire che bisogna cambiare se stessi se si vuole avere un futuro migliore".

"Ha ragione - aggiunge João, un altro giovane molto attivo nella comunitá - E’ importante l’aiuto che ci viene da fuori, ma il vero cambiamento deve partire da noi. Siamo noi che dobbiamo costruire il nostro futuro".

Ma ecco Zefinha, energica rappresentante del gruppo delle donne. Una testimonianza, la sua, che fa capire come la possibilitá di cambiamento sia reale e di quanto importante sia l'azione svolta da Luís E Francimar. "I problemi sono ancora più grandi per le donne. Qui nessuna donna lavora, nessuna ha un reddito. Ma adesso stiamo alzando la testa, abbiamo capito che bisogna darsi da fare se vogliamo che la situazione cambi. Che so? Qualche forma di artigianato. Stiamo pensando a produrre qualcosa che poi possiamo vendere.

E molto sta cambiando dopo gli incontri che stiamo facendo con le donne. Partecipiamo a incontri fuori, conosciamo altre persone e questo aiuta a cambiare la mentalità. Ma non è che si può far molto se non c’è la terra. Ce la dobbiamo prendere se vogliamo uscire da questa situazione. Non possiamo più continuare a pagare affitti esorbitanti al padrone. Ho lavorato mesi e mesi a raccogliere il cotone senza guadagnare nulla. Lavoravo come gli uomini, anzi di più, eppure mi pagavano di meno perché ero una donna. Ma non potevo farne a meno, avevo troppo bisogno di quei soldi. Io credo nella donna che è dentro di me e sono convinta che le cose stanno già cambiando. Prima di tutto sta cambiando la testa e questo lo devo anche al lavoro di Luis e di Franzimar. Prima eravamo persone che guardavano ma non vedevano, quasi come fossimo ciechi; adesso invece cominciamo a capire".

Lasciamo la comunità del Matão coscienti della difficile situazione che qui le persone devono affrontare ma non senza aver colto la voglia di combattere che anima donne e giovani.

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