Combattere per la propria terra

terça-feira, 22 de fevereiro de 2005
L’Engenho de Bom Fim é un latifondo che si estende su qualche centinaio di ettari collinosi. Dopo la morte della vecchia fazendera, gli eredi hanno venduto tutto dichiarando che i terreni erano liberi e tacendo completamente sulla presenza di 20 famiglie di contadini neri che vantavano a buon diritto dei diritti sulla terra. Con i nuovi proprietari è cominciato un braccio di ferro pesante: loro recintavano i terreni ed i contadini di notte li abbattevano: “è stato il vento” sostenevano candidamente di fronte alle accuse del padrone. I contadini piantavano la manioca ed i nuovi padroni mandavano gli animali a mangiare le piantine appena spuntate. Una guerra di nervi lunga e logorante. L’aiuto di Luiz, che ha fatto intervenire gli avvocati della commissione statale per la terra, ha portato a qualche risultato, e nonostante la situazione sia ancora in alto mare, i contadini sono decisi più che mai a proseguire nella lotta per la terra. Li incontriamo nella “sala riunioni” all’ombra di un ombroso mango e insieme facciamo il punto della situazione. Ecco le testimonianze dei diretti interessati.

"Il mio nome è Miguel, sono arrivato qui da bambino caricato su un asinello dentro un cesto e quando ho cominciato a capire le cose ho dovuto cominciare a lavorare la campagna. A 21 anni mi sono sposato. Lavoravo nella fazenda e alla sera le mie mani erano scorticate per il lavoro. Lavoravamo la canna da zucchero. Il nostro rapporto con il padrone era di "sujeição" (soggezione), praticamente come fossimo schiavi legati alla terra. L’orario di lavoro superava spesso le 16 ore al giorno. Cadendo sulla canna da zucchero ho perso anche un occhio.
Qui c’erano 60 famiglie, tutti neri. E potevano mandarti via quando volevano. C’era un clima di terrore ed eravamo sempre sotto la minaccia delle armi.
Adesso che abbiamo deciso di riappropriarci della terra speriamo di avere un futuro migliore. Se Dio vuole, io credo che questo si realizzerà. Per me e per i miei compagni".
Josepha Pereira Loura (bionda): "Nel 2002, dopo la morte della vecchia proprietaria, sono subentrati i nuovi padroni e hanno cominciato a minacciare di buttarci fuori da questa terra dove siamo nati e vissuti".
Joseph Faustino: "Tutto è cominciato con l’inganno. I nuovo padroni hanno iniziato a mettere il filo spinato impedendoci di fare qualsiasi lavoro, coltivare la terra, tagliare la legna…abbiamo cominciato a disobbedire e così ci hanno fatti arrestare dalla polizia. Due sono fuggiti, ma io e un altro siamo stati messi in prigione per alcuni giorni fino a che il giudice ci ha rimessi in libertà, grazie all’intervento dell’avvocato della Commissione della terra. Adesso stiamo aspettando la decisione definitiva del giudice e siamo molto fiduciosi di riavere definitivamente la nostra terra. Ma la cosa più importante è che continuiamo a lottare uniti per questo scopo".
José Pedro de Maria detto Zeca Pedro: "I nuovi padroni hanno venduto la terra dicendo che era libera. Ma la terra era nostra perché la stavamo coltivando da sempre. Ci chiudevano con il filo spinato ma noi durante la notte lo abbattevamo. E’ stato il vento, dicevamo. Allora hanno cominciato a minacciarci e ci hanno denunciato. Come ha detto Joseph Faustino due sono stati imprigionati ma altri siamo riusciti a fuggire.
L’aggressione però è continuata. Un giorno ci hanno distrutto con il trattore tutta la piantagione di manioca, adesso di notte ci mandano il bestiame a mangiare le piante piccoline. Ma noi continuiamo a resistere perché siamo 20 famiglie e abbiamo bisogno di lavorare".
Josè (Zé) Fernando: "La terra ce la devono dare perché è nostra. Comunque continuano a minacciarci. Tre notti fa sono arrivati tre capanga, tre pistoleros della fazenda armati di fucili, ma noi siamo riusciti a disarmarli. Abbiamo nascosto le armi sequestrate e, su consiglio dell’avvocato della commissione per la terra, abbiamo deciso di consegnarle al giudice, perché non possiamo fidarci del delegato di polizia, che di sicuro le riconsegnerebbe al proprietario".
I contadini, orgogliosi del loro lavoro, ci fanno visitare le terre coltivate: banane, maracujà, manioca, jaka, pitomba, mango, papaia, canna da zucchero.
Alla fine, dopo un ultimo dibattito, decidono di recuperare le armi sequestrate e incaricano Zè Fernando di portarle al giudice. Ci chiedono di fare da scorta e noi seguiamo su strade sterrate la macchina di Zé Fernando verso la sede del giudice. Speriamo che funzioni.

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