In Africa pensando al Brasile

segunda-feira, 18 de janeiro de 2010
Arrivo in Zambia con il mio robusto campionario di stereotipi sull’Africa nera, ma per fortuna altrettanto ampio è il bagaglio di esperienze maturate nel mio pluriennale lavoro con la popolazione nera dei quilombos della Paraíba nel Nord Est del Brasile. Quilombo è il termine tecnico che normalmente viene usato per definire le comunità nere discendenti da antichi insediamenti creati da schiavi fuggiti dalle fazendas durante, o subito dopo, il periodo buio del lavoro schiavo in Brasile. E’ grazie a questa esperienza a fianco delle comunità quilombolas che il mio approccio con l’Africa assume un particolare coinvolgimento, tanta è la voglia di scoprire quali legami esistano tra due culture oggi divise geograficamente e storicamente dall’oceano Atlantico, ma le cui origini sono le stesse. E’ così che mi ritrovo a peregrinare per i villaggi attorno a Lusaka inseguendo legami, costumi, modi di fare e di essere che possano confermare quanto di “nero” sia rimasto nella gente delle comunità quilombolas del Brasile e quale dialogo sia possibile per recuperare le antiche origini comuni. Non ho la pretesa di essere riuscito a cogliere la realtà in modo approfondito nè di poter tranciare giudizi definitivi senza incorrere nel rischio di affermazioni superficiali e riduttive. Certo è stato interessante ritrovare somiglianze di costumi, di tecniche costruttive, di organizzazione degli spazi di vita, di usanze alimentari e di tanti altri piccoli particolari che attestano chiaramente una identità comune, anche se perduta nel tempo. La cosa che, però, mi ha più colpito è stata l’evidente influenza “culturale” del bianco, europeo, occidentale. Nei villaggi africani (per non parlare ovviamente delle città) così come nelle sperdute comunità quilombolas del Brasile il marchio impresso nella pelle e nella mente degli abitanti è la supremazia del bianco che ha sfruttato la loro esistenza e tuttora continua a imporre i propri modelli economici e culturali. In Brasile, nel tentativo di autoassolversi, il potere si è inventato il mito di una democrazia basata su un “razzismo cordiale”. In Africa nemmeno questo: le forme più esasperate di colonialismo economico e finanziario continuano grazie anche alla complicità di governi spesso inefficienti e corrotti. Nella stragrande maggioranza dei casi per la gente del popolo quasi nulla è cambiato e quel poco che è stato conquistato è stato grazie a organizzazioni missionarie e umanitarie indipendenti. E’ in una di queste realtà che sono capitato nel mio viaggio in Zambia. Visitando Lukamantano Village e la Casa Famiglia di Luanshya ho avuto modo di conoscere l’incredibile realtà creata e gestita da Zambia Helper Sociaty grazie all’aiuto di PAMO. Non credo di dover aggiungere molto a quello che già è stato descritto e illustrato nelle puntuali relazioni apparse sul giornale di Pamo. Ho seguito con puntigliosa curiosità il lavoro di sostegno e di controllo di Giuseppe Volonterio. Ho avuto modo di apprezzarne l’umanità, lo spirito partecipativo e la pacata determinazione: una garanzia per i sostenitori di Pamo. Me ne ritorno in Brasile alle mie comunità quilombolas arricchito nello spirito e con ancora maggior voglia di fare. Sono cosciente di come il cammino dello sviluppo per l’Africa, così come per le comunità quilombolas del Brasile, sia arduo e pieno di incognite. L’importante è continuare con determinazione in questa direzione contribuendo ciascuno secondo le proprie possibilità.

Tipici villaggi zambiani alle porte della capitale Lusaka  



Bimbi e mamme nella quotidianitá dei villaggi 

Alunni verso la scuola

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