In questo articolo del 2018 la giornalista Giulia Cerqueti esprimeva i suoi timori sul futuro dele comunità afrodiscendenti com l’ascesa al potere del nuovo presidente del Brasile Jair Bolsonaro. A distanza di nemmeno um anno, dobbiamo purtroppo prendere atto che la realtà si è rivelata molto peggio dele previsioni più pessismiste, non solo per gli afrodiscendenti ma anche per tutte le frange più deboli dela società.
Dopo le elezioni in Brasile e la vittoria di Jair Bolsonaro come nuovo presidente del Paese, le comunità dei discendenti degli schiavi, i quilombo, temono che il lungo cammino verso il riconoscimento dei propri diritti sia costretto a frenare e regredire. Ecco un reportage dal Paraíba, uno Stato che conta una forte presenza di afrodiscendenti.
di Giulia Cerqueti - 21 Novembre 2018 - da João Pessoa (Paraíba, Brasile)
Dal ciglio della montagna sulla quale si aggrappano tenacemente le case del quilombo Grilo, Maria de Lourdes, 76 anni, osserva, in silenzio, il panorama dei campi coltivati a mais, fagioli e macaxeira, la manioca tipica di questa regione del Nordest brasiliano, il Paraíba. Maria de Lourdes vive qui con suo marito Severino, 73 anni d’età.
Il loro racconto è simile a quello di tanti altri quilombola, i discendenti degli schiavi africani portati a forza in Brasile che, una volta liberi, sono riusciti a mettersi insieme per fondare una comunità. Una storia fatta di qualche vittoria e di tante lotte per vedere riconosciuti diritti umani spesso in contrasto con gli interessi di grandi gruppi economici e di potenti coalizioni politiche. Una battaglia che si ripropone ancora oggi, alla vigilia dell’insediamento del nuovo presidente, Jair Messiah Bolsonaro, l’esponente di estrema destra che ha vinto le ultime elezioni in Brasile e che prenderà la guida del paese il 1° gennaio 2019.
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Maria de Lourdes e Severino – Foto: Giulia Cerqueti |
Maria e Severino, comunità-città andata e ritorno
Severino lavorava come contadino nella terra del fazendeiro, il grande proprietario terriero. A 70 anni ha imparato a guidare la motocicletta, ne ha comprata una e ora va in giro nei vicini centri urbani fuori dal quilombo.
Tanti anni fa anche lui e Maria de Lourdes, come molti altri abitanti di queste comunità afrodiscendenti, erano emigrati a Rio de Janeiro pensando di trovare l’El Dorado. Ma alla fine sono tornati nella loro comunità, che non hanno più abbandonato.
Accanto a Maria de Lourdes, Luigi Zadra, ex missionario comboniano oggi volontario laico, trentino, indica in lontananza un casale azzurro: è la «casa grande», spiega, l’abitazione dei fazendeiro. Oggi buona parte di questa terra appartiene alla comunità quilombola, che ha ottenuto il riconoscimento del diritto di proprietà comunitaria inalienabile.
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Severino davanti alla sua abitazione – Foto: Giulia Cerqueti |
Quilombo: significato, storia e definizione
La storia delle comunità quilombola è legata a quella del colonialismo in Brasile, che nell’arco di tre secoli deportò e ridusse in schiavitù quasi quattro milioni di africani. Gli ex schiavi, fuggiti dai latifondi o affrancati, si riunivano in luogo impervi, isolati, difficilmente espugnabili, sulle montagne, nelle foreste, per dare vita a nuovi nuclei abitativi, sociali e familiari, autogestiti in forma comunitaria, dove preservare la loro cultura, le tradizioni, la religiosità.
Economia rurale e terra per i quilombola del Brasile
I quilombo hanno vissuto una storia difficile, sofferta, hanno combattuto e resistito per affermare la loro esistenza, per reclamare i loro diritti alla conservazione della propria identità, mantenersi ancorati alle loro radici e soprattutto ottenere il diritto fondamentale alla terra che a loro spetta.
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Luigi Zadra – Foto: Giulia Cerqueti |
«Il quilombo per sopravvivere ha bisogno del territorio, che è un concetto diverso dalla terra: territorio non significa soltanto sostentamento economico, fa riferimento a un patrimonio di storia, antropologia, cultura, radici, consapevolezza». Le comunità sono essenzialmente rurali, vivono di agricoltura familiare, pesca, attività artigianali.
Insediamenti afrodiscendenti nel Paraíba
Zadra si occupa di sostegno ai quilombo attraverso l’Associazione di sostegno agli insediamenti e alla comunità afrodiscendenti (Aacade) nata nel 1997. Nel Paraíba attualmente esistono 39 comunità, la prima ha ottenuto il riconoscimento nel 2011. «Ma la rivendicazione territoriale», spiega Zadra, «viene dopo, è uno stadio avanzato, più complesso, che spesso divide i quilombola stessi. Molti preferiscono lasciar stare per paura di ritorsioni, minacce e violenze contro la comunità».
Grilo, a quasi 100 chilometri dalla capitale dello Stato, João Pessoa, è una comunità tradizionale, ancora molto isolata, ma già attiva e propositiva. Alcuni mesi fa qui è nata la Casa della donna quilombola, un centro di aggregazione sostenuto da Aacade. Nella comunità vivono circa 70 famiglie, che vanno avanti grazie a un’economia di sussistenza fondata sull’agricoltura.
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La casa della donna quilombola – Foto: Giulia Cerqueti |
«Ma la terra non basta. Così molti vanno a cercare lavoro nelle città vicine, a partire da Campina Grande». Come Leonilda, 56 anni, uno scricciolo di donna dalla forza immensa. Quattro figli, un marito con problemi di alcolismo, lei è l’unica donna qui a lavorare come muratore. Quando le arriva la chiamata, lei va nei cantieri.
Geografia e presenza degli afrodiscendenti brasiliani
La resilienza di questo popolo trova espressione nel Conaq, il Coordinamento nazionale di articolazione delle comunità quilombola rurali nere che ad oggi stima circa 2.847 insediamenti riconosciuti, per la maggior parte nel Nordest del paese, e 1.533 processi aperti.
Il riconoscimento e la definizione ufficiale di “quilombo” non sono questioni di poco conto: solo con il completamento di questi passaggi formali si può accedere ai programmi sociali dello Stato e, quindi, avere una maggiore possibilità di uscire dall’emarginazione e dalla povertà.
Razzismo e violenza contro i quilombo in Brasile
Nella pratica quotidiana, i diritti dei quilombola continuano a essere violati e minacciati, dando origine a forti tensioni sociali. Secondo una recente ricerca intitolata “Razzismo e violenza contro i quilombo in Brasile”, gli omicidi di quilombola sono aumentati del 350% in un anno: dai quattro del 2016 si è passati ai 18 del 2017. Tra il 2008 e il 2017 su 36 assassini, 29 sono avvenuti nel Nordest, regione che si distingue per una storia di resistenza legata alla terra.
Lo studio è stato promosso dal Conaq con la Ong Terra dei diritti, in collaborazione con il Collettivo di consulenza legale Joãozinho de Mangal e l’Associazione di avvocati di lavoratrici e lavoratori rurali della Bahia.
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Maria de Lourdes nel quilombo Grilo – Foto: Giulia Cerqueti |
La Costituzione, Cardoso e Lula: Brasile e quilombola
La Costituzione del 1988 (dopo la fine della dittatura) per la prima volta ha sancito il diritto alla proprietà territoriale collettiva, ma il cammino di riscatto dei quilombola è stato complicato, strenuamente osteggiato dagli interessi delle grandi imprese e dei gruppi ruralisti, dai partiti di destra e da un razzismo radicato nella società che considera gli afrodiscendenti cittadini di serie B rispetto alla popolazione bianca, nutrendosi di stereotipi discriminatori e classisti.
Gli ultimi 30 anni sono stati una storia altalenante tra passi avanti e battute d’arresto. Nel 2001 il governo Cardoso ha introdotto il marco temporal (limite temporale), ovvero l’obbligo per i quilombo di fornire prove certe dell’esistenza continuativa della loro comunità fin dal 1888, anno dell’abolizione della schiavitù, fino al 1988.
Il marco temporal è stato superato dal primo governo Lula: nel 2003 il decreto 4.887 ha fissato il diritto di “auto-attribuzione” come unico criterio per la definizione delle comunità quilombola e ha stabilito che ad esse dovessero essere assicurati beni territoriali sufficienti per la loro esistenza e il loro sviluppo. Nel 2004 il governo ha lanciato il Programma Brasile Quilombola, gestito dalla Segreteria delle politiche di promozione dell’uguaglianza razziale (Seppir).
Con Temer cresce il potere del capitale agrario
Il decreto 4.887 è sempre stato ostacolato dall’oligarchia agraria. A minacciare la sua attuazione è stato il Partito di centro-destra Democratas (Democratici), che nel 2012 ha avanzato la richiesta di dichiarazione di incostituzionalità del decreto. La battaglia ha ottenuto una risoluzione a febbraio 2018, quando il Supremo tribunale federale ne ha confermato la costituzionalità.
D’altro canto, dopo l’impeachment nel 2016 dell’allora presidente Dilma Rousseff, il governo di Michel Temer ha spalleggiato le rivendicazioni della destra liberale, delle multinazionali e dell’oligarchia agro-industriale, ha bloccato i processi per il riconoscimento di nuovi insediamenti e ha trasferito l’Incra (Istituto nazionale di colonizzazione e riforma agraria), l’ente federale preposto alla demarcazione delle terre, dal ministero dello Sviluppo agrario a quello della Casa Civil.
Brasile post-elezioni: presidente Bolsonaro e quilombo
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Jair Bolsonaro – Foto: Fabio Rodrigues Pozzebom / Agencia Brasil (via Flickr) |
Ora, l’ascesa alla presidenza dell’ex militare populista di estrema destra Bolsonaro preoccupa la popolazione afrodiscendente. Del resto, i presupposti gettano ombre pesanti sul futuro operato del presidente: ad aprile 2017, durante un evento elettorale a Rio de Janeiro, dopo essersi espresso contro indigeni, donne, omosessuali, rifugiati, Bolsonaro ha affermato che, in caso di elezione, non avrebbe più concesso un centimetro di terra demarcato a indigeni e quilombola.
Affermazioni che non sono scivolate via senza suscitare reazioni e che gli sono valse un’azione civile – condotta a Rio dai procuratori della Repubblica Ana Padilha e Renato Machado – con l’accusa di aver usato informazioni distorte, espressioni ingiuriose, prevenute e discriminatorie con l’intento di ridicolizzare e disumanizzare un gruppo etnico.
Al termine del processo di primo grado, ad ottobre 2017, l’allora deputato era stato condannato al pagamento di 50 mila reais – circa 12.000 euro – come indennizzo per danni morali collettivi alle comunità quilombola e alla popolazione nera. Condanna cancellata di recente, però, nel secondo grado di giudizio.